Sentirsi come Alice nel paese delle meraviglie, in una
dimensione inusuale dentro Ingresso Pericoloso: la giovane galleria romana, la
cui porta stretta e bassa con una scala di sette gradini conduce là dove appare
un mondo di forme, di segni, di suoni. È il mondo di
Emiliano Zelada (Roma, 1979; vive a Barcellona),
che parte dal silenzio, quando pronunciare la parola silenzio significa
distruggerlo, per un invito a riflettere sull’agire umano rispetto al singolo e
alla natura.
Il primo, imprescindibile incontro è con una struttura di
legno nero, stalattite-stalagmite che sembra una scala, metafora di una colonna
vertebrale, forma portante di un’entità di vita e di pensiero. Così, una
seconda struttura, sempre in legno nero, rimanda all’elica del Dna e due tubi
con fori di vario diametro, come vene di un corpo umano, ad accogliere ciò che
proviene dall’esterno.
Sarà l’interazione del visitatore a creare la dimensione
finale dell’installazione. Se si indugia in questo spazio, si rimane immersi
nel “silenzio”, per comprenderne il significato. E tutto tace.
Ma, se il
visitatore si muove disordinatamente, si agita, in qualche modo non rispetta lo
spazio, allora un sensore origina una crescente sonorità che nasce da un’alchimia
elettronica. Come in una battaglia fra extraterrestri, la combinazione sonora
aumenta gradualmente, sino a un’esasperazione tale che induce ad abbandonare lo
spazio.
Una seconda sala, che diviene luogo di decompressione,
ospita una composizione pittorica sulla parete bianca, un racconto di foglie
nere che può esser letto come una partitura musicale, motivo di una suggestiva
interpretazione di
Giulia Cozzi e
Alberto Gomez la sera dell’inaugurazione. Poi, tre minipartiture
iconografiche, disegni su carta, che diventano quadro per fermare un’emozione,
prima di immergersi nella dimensione sonora di una sala, completamente al buio.
Emiliano Zelada, l’artista/compositore che a Barcellona è docente
di Sound Art per lo Spazio Pubblico, utilizza il linguaggio delle balene zifio,
con i suoni emessi durante gli spostamenti e il loro agire nei fondali marini,
per incrociarli con quelli dei sonar che la Marina americana adotta per gli
esperimenti negli oceani. Dallo studio che l’autore ha condotto su questa
realtà è nata un’installazione, dove ciò che non si vede, si ascolta.
Così, il visitatore perde via via ogni riferimento
spaziale, e non saranno le balene a trovarsi disorientate fino allo
smarrimento, ma l’uomo stesso che diviene soggetto attivo, giudice e imputato
nello stesso tempo. E il suono che profana l’ambiente si trasforma in minaccia
per chi ha dato origine al disordine. Per assumere la valenza di un messaggio,
che l’arte finalmente, lancia: un grido d’allarme contro l’inquinamento
acustico. Per difendere quella natura che sfruttiamo senza amarla, non amando
noi stessi.
Un linguaggio coraggioso, un compito difficile, quello che
si assume Zelada, una funzione sociale, espressione di un’arte figlia del
nostro tempo. Fino a quando “
non smarriremo la memoria del sole”
.