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In L’angelo del visibile la dominante cromatica è
violacea. Un viola animato qua e là da tracce di magenta e ciano. Il viola è un
colore che Marilù Eustachio (Merano, Bolzano, 1934; vive a Roma) usa da sempre.
L’influenza è indiretta, probabilmente irrazionale, ma attraversata dal grande
amore per la pittura di Scipione e Mafai. Un peso viola, fra l’altro, è il libro che nel 1990 Eustachio ha
dedicato alle poesie di Emily Dickinson, traducendo in segno la musicalità dei
versi.
A fare gli onori di casa, alla Nuova Pesa, è la grande
tela che raffigura una montagna. Poche linee, solo apparentemente provvisorie,
che aspirano alla sacralità della natura. Soggetto caro all’artista, quello
della montagna: la madre era del Tirolo austriaco e ha saputo trasmettere alla
figlia l’amore per la sua terra. Negli altri olii su tela e carta – alcuni
presentati nel 2009, in occasione della personale alla Galleria Ceribelli di
Bergamo – ci sono poi le teste, gli alberi, i fiori, le case e gli angeli (le
sculture barocche del ponte e di Castel Sant’Angelo).
Soggetti in cui “sembra di vedere il desiderio di
sottrarre le forme alla padronanza e alla prepotenza dello sguardo, di
restituirle a se stesse, alle loro precarie ma autorevoli esistenze”, scrive Elisabetta Rasy in
catalogo.
Eseguito per questo appuntamento romano, il nucleo di
fiori esposto nella teca si può leggere come un’opera unica. È un lavoro
caratterizzato dalla freschezza del tratto sulla carta, da quella che Eustachio
stessa chiama lievità. Una festosa leggerezza, rispetto alla natura talvolta
drammatica delle altre opere, dovuta in parte anche ai tempi brevi di
realizzazione.
Il tempo è un elemento importante nell’opera dell’artista,
che è solita tornare a sovrapporre stesure di olii fino a ottenere
quell’atmosfera di sospensione che pervade ogni sua opera. Nei volti, in
particolare, non c’è la ricerca dell’identità; sono soggetti che aspirano
all’universalità, avvolti da un’aura di assoluto. L’aspetto percettivo è quasi
un’ossessione per Marilù Eustachio. Volti che possono entrare e uscire dal buio
con la stessa consapevolezza, parlare o rimanere in silenzio, nascondere o
svelare.
“Il silenzio da cui queste opere emergono credo abbia
qualcosa a vedere con la contemplazione”, scrive ancora Rasy. “Non perché le opere siano in
generale oggetti da contemplare – sappiamo bene che non è così, non è soltanto
così – ma perché le tue opere fanno parte di un tuo personale esercizio di
contemplazione”.
violacea. Un viola animato qua e là da tracce di magenta e ciano. Il viola è un
colore che Marilù Eustachio (Merano, Bolzano, 1934; vive a Roma) usa da sempre.
L’influenza è indiretta, probabilmente irrazionale, ma attraversata dal grande
amore per la pittura di Scipione e Mafai. Un peso viola, fra l’altro, è il libro che nel 1990 Eustachio ha
dedicato alle poesie di Emily Dickinson, traducendo in segno la musicalità dei
versi.
A fare gli onori di casa, alla Nuova Pesa, è la grande
tela che raffigura una montagna. Poche linee, solo apparentemente provvisorie,
che aspirano alla sacralità della natura. Soggetto caro all’artista, quello
della montagna: la madre era del Tirolo austriaco e ha saputo trasmettere alla
figlia l’amore per la sua terra. Negli altri olii su tela e carta – alcuni
presentati nel 2009, in occasione della personale alla Galleria Ceribelli di
Bergamo – ci sono poi le teste, gli alberi, i fiori, le case e gli angeli (le
sculture barocche del ponte e di Castel Sant’Angelo).
Soggetti in cui “sembra di vedere il desiderio di
sottrarre le forme alla padronanza e alla prepotenza dello sguardo, di
restituirle a se stesse, alle loro precarie ma autorevoli esistenze”, scrive Elisabetta Rasy in
catalogo.
Eseguito per questo appuntamento romano, il nucleo di
fiori esposto nella teca si può leggere come un’opera unica. È un lavoro
caratterizzato dalla freschezza del tratto sulla carta, da quella che Eustachio
stessa chiama lievità. Una festosa leggerezza, rispetto alla natura talvolta
drammatica delle altre opere, dovuta in parte anche ai tempi brevi di
realizzazione.
Il tempo è un elemento importante nell’opera dell’artista,
che è solita tornare a sovrapporre stesure di olii fino a ottenere
quell’atmosfera di sospensione che pervade ogni sua opera. Nei volti, in
particolare, non c’è la ricerca dell’identità; sono soggetti che aspirano
all’universalità, avvolti da un’aura di assoluto. L’aspetto percettivo è quasi
un’ossessione per Marilù Eustachio. Volti che possono entrare e uscire dal buio
con la stessa consapevolezza, parlare o rimanere in silenzio, nascondere o
svelare.
“Il silenzio da cui queste opere emergono credo abbia
qualcosa a vedere con la contemplazione”, scrive ancora Rasy. “Non perché le opere siano in
generale oggetti da contemplare – sappiamo bene che non è così, non è soltanto
così – ma perché le tue opere fanno parte di un tuo personale esercizio di
contemplazione”.
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visitata il 3 marzo 2010
dal 3 marzo al 16 aprile 2010
Marilù Eustachio –
L’angelo del visibile
La Nuova Pesa – Centro per l’arte contemporanea
Via del Corso, 530 (zona Piazza del Popolo) – 00186 Roma
Orario: da lunedì a venerdì ore 10-13 e 15.30-19
Ingresso libero
Catalogo con un testo di
Elisabetta Rasy e una poesia di Valerio Magrelli
Info: tel. +39 063610892; fax +39 063222873; nuovapesa@farm.it
[exibart]