Approdata a Roma dopo alcuni mesi di stanza al Palazzo dei Diamanti di Ferrara, la mostra sul Simbolismo curata da Geneviéve Lacambre costituisce senz’altro un’ottima occasione per approfondire un movimento a cui –in primo luogo attraverso il filtro del successivo Surrealismo che per numerosi profili, più o meno dichiarati, ne continuò eccentricità e tensioni– tanto deve l’arte contemporanea.
Sul tema già è stato ben scritto da queste colonne proprio a proposito dell’occasione ferrarese, ma sia qui consentito ricordare almeno come il Simbolismo, nato in ambito letterario sulle ceneri delle brucianti esperienze di Rimbaud e Mallarmé per trasferirsi presto nelle arti visive e plastiche, abbia costituito il primo movimento autenticamente internazionale, diffondendosi come un incendio dalla Francia alla gran parte dei paesi europei. Pur se appesantito dal farraginoso armamentario di sfingi, chimere, lire d’Orfeo e demoni femminili che via via s’impose come propria vulgata visiva, il Simbolismo è stato indubitabilmente fondamentale nel traghettare la pittura naturalistica fino alle terre impervie della mistica psicologista novecentesca, e a tale centralità la mostra rende giusto omaggio con una selezione intelligente di opere, dove accanto a nomi riconosciuti (vedi il trio riportato nel titolo Da Moreau a Gauguin a Klimt) si scoprono minori d’eccezione con straordinarie invenzioni iconografiche (su tutte, L’angelo ferito del finlandese Hugo Simberg). Altrettanto meritevole è anche la scelta di presentare un nutrito corpo di grafiche, ambito espressivo dove il simbolismo raggiunse autentiche vette espressive (si pensi allo stupefacente Ragno che sorride di Odilon Redon, in cui viene immediato scorgere un antecedente neppure troppo nascosto delle successive e più note invenzioni kafkiane in ambito entomologico).
Ora, se questi sono i pregi indubbi della mostra, non si può però tacere degli altrettanto marchiani difetti dell’allestimento, il quale fissa nuovi standard a proposito di ciò che in un museo non si deve fare. Sin dall’inizio, infatti, il visitatore si trova catturato in un percorso accidentato tra corridoi e salette con pesanti porte da aprire per avanzare, fino a giungere finalmente in un ambiente più ampio, dove le opere sono però appaiate in asfittici pannelli, con l’aggiunta di legende applicate ad altezze (o meglio, bassezze) che certo non facilitano la lettura. Può darsi che sia la stessa struttura
Ma soprattutto, è quel che è stato realizzato ad hoc che più sconcerta dell’insieme. Proprio per la sezione iconografica che maggiormente avrebbe necessitato di concentrazione e misura, ovvero la grafica, si para innanzi un inverosimile scatolone di cartongesso dai toni bluastri e rossi con in sovrappiù una bardatura d’incomprensibili spuntoni (oscuri tentacoli, scombinate allusioni a supposte pulsioni organiche del simbolismo? Mah..). E ancora, se l’intento della trasferta romana della mostra era anche quello di valorizzare la collezione permanente della Galleria, perché, oltre a fare del pur mirabile Tre età della donna di Gustav Klimt il solito idolo delle folle, non si è segnalato in maniera più chiara la possibilità di svolgere un percorso simbolista nelle altre aree del Museo? A pochi passi dagli spazi dedicati all’esposizione si trova ad esempio la Sala Previati, forse la maggior concentrazione patria di opere simboliste, ma i cartellini che invitano a raggiungerla sono meno che visibili. Del tutto dimenticata, addirittura, è la segnalazione dell’eccezionale opera di Domenico Morelli, Le tentazioni di Sant’Antonio, un olio su tela del 1878 che da solo vale più di tante opere esposte nella mostra temporanea, e che langue in una sconsolata quadreria secondaria.
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Comlimenit, finalmente qualcuno dice le cose come stanno riguardo alla g.n.a.m.
BRAVI
Ci sono stato ieri...per uno sciopero di non so chi la fila all'ingresso era molto lunga, ma comunque la visita era consentita. La mostra era sovraffollata, quindi ogni 20 secondi qualche visitatore ben pensava di passare davanti all'opera che un gruppo (nutrito) di altri visitatori tentava di ammirare. Alle ore 19:00 il personale in servizio avverte il pubblico che il museo era in chiusura (sul biglietto è riportato 19:30 orario di chiusura e 18:45 orario chiusura biglietteria, x cui chi ha comprato il biglietto alle 18:45 aveva 15 minuti netti per vedere la mostra). Il tutto x 9 €!!!!!!!!!!!!!
La mostra conteneva (ben) nascoste al suo interno delle opere non troppo famose interessanti per spunti di approfondimento insoliti. Eccessivo il fraseggio su tematiche simboliste che, avrei immaginato, tra di loro raggruppate su chiavi di letture estetiche...
La mostra è comunque da vedere, ma un pò + di rispetto x i paganti non guasterebbe!