È notte. L’immagine è inizialmente confusa; grate metalliche e recinzioni impediscono allo sguardo di orientarsi nello spazio. Il piano-sequenza, realizzato da
Paolo Pennuti (Forlì, 1974) con l’uso di una camera-car, procede con un ritmo incostante, con accelerazioni e rallentamenti. Nell’oscurità, la luce di un faro, posto sopra la videocamera, svela frammenti di un luogo sconosciuto, dettagli ancora indefiniti ma inquietanti.
La natura si presenta annientata dall’azione di una forza distruttrice sovraumana: alberi sradicati, scheletri di edifici, ruderi di lamiere e mattoni giacciono abbandonati. Tracce di esistenze estirpate, divelte come le piante dalla loro terra. Com’è successo a
Cesare Pietroiusti, riportato nel testo che accompagna la mostra, improvvisamente comprendiamo che le immagini si riferiscono al disastro provocato dall’uragano Katrina a New Orleans, e non solo, nel 2005.
Mentre lo sguardo scruta il paesaggio alla ricerca di forme di vita resistite alla catastrofe, giungono come echi lontani due voci maschili. Non si tratta di una conversazione, sono piuttosto dei monologhi. Il primo esprime la difficoltà di ritornare al lavoro e ricostruirsi un’identità sociale e professionale; il secondo ricorda tecniche psicologiche di rilassamento e induzione al sonno. I discorsi sono frammentari, parcellizzati e ricomposti dall’artista per intensificarne, attraverso collegamenti e affinità, l’orizzonte di senso.
Si tratta della testimonianza reale di un assicuratore, residente nella zona colpita, e della voce meccanica e persuasiva di un software anti-panico, supporto tecnologico progettato per le popolazioni in situazioni di emergenza. Il materiale audiovisivo di cui si serve Pennuti è dunque di tipo documentario, ma non è un’esigenza di cronaca a guidare l’artista in questo lavoro -con il quale nel 2007 ha vinto il primo premio tra gli artisti in residenza alla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia- quanto il bisogno di trasformare una tragedia particolare nella rappresentazione di una catastrofe universale che incombe sull’umanità nell’età contemporanea.
Al succedersi lineare, senza cesure o tagli di montaggio, del racconto visivo si sovrappone e s’intreccia il racconto sonoro che procede a salti, apparentemente a-logici, per rimandi, opposizioni e libere associazioni guidati dall’artista e che, attraverso la fruizione individuale, moltiplicano all’infinito le possibilità di interpretazione.
Sul finale, la voce tranquillizzante invita a rilassarci per predisporci al sonno. Del resto,
going to sleep is something absolutely certain in life. Il riposo si conclude consuetamente col ritorno allo stato vigile anche se, suggerisce lo speaker, c’è poi veramente bisogno di svegliarsi? Se la realtà è divenuta scenario dell’angoscia e della devastazione, forse è meglio augurarsi che sia un sonno senza fine.