E vissero felici e contenti. Così, come nelle migliori favole, si chiude l’avventura di Autori Cambi, galleria romana nel Rione Monti. Con una mostra il cui titolo sottolinea l’assonanza con un epilogo narrativo, affermando anche la soddisfazione del gallerista Matteo Boetti, che ha scelto di concludere con due artisti al quale è legato da un lungo sodalizio. Proprio Marco Papa e Gioacchino Pontrelli furono, infatti, i primi ad esporre nella sua galleria.
La doppia personale presentata ora, quindi, racchiude in sé la summa della storia di Autori Cambi, ma anche quella degli stessi artisti. Sicuramente possiamo dirlo di Marco Papa i cui lavori sono profondamente legati alle vicende personali. L’istallazione Non puoi dimenticare, in legno di pino marittimo, grafite e carta, sotto le sembianze della sella nasconde la storia della morte dell’amato cane dell’artista. L’idea di cavalcare giocosamente l’animale stride profondamente con il liquame a terra e col legno del luogo in cui è stato sepolto. Lo stesso legno, morbido e fresco, è stato usato per le cornici dei quattro quadri: grandi fogli bianchi sui quali sono riprodotti, una per ciascuno, le quattro macchie del manto del cane. Guardando attentamente traspaiono ulteriori elementi, altri segni nascosti sotto il fondo nero. Sono altrettanti momenti fondamentali della vita di Papa: il volto di una ragazza in un quadro, il suo insieme a quello della sua compagna in un altro, una pineta e, nell’ultimo, una struttura rossiccia. Si tratta del progetto Dancing on the verge il lavoro che avrebbe dovuto realizzare con Gene Anthony Ray -il Leroy del popolare serial Saranno Famosi– che però morì prima che l’opera fosse compiuta.
In realtà il lavoro, un work in progress, è stato presentato in alcune occasioni –a Viafarini a Milano per esempio- ma l’ultimo atto sarebbe stato proprio la danza di Gene Anthony intorno alla struttura appena visibile ad Autori Cambi. Ancora una volta, quindi, il lavoro in mostra cela un momento personale e fortemente doloroso, proprio a segnare l’inevitabile coincidenza tra l’artista e la sua opera.
I lavori di Gioacchino Pontrelli si presentano come un ulteriore passo avanti nel percorso dell’artista, conosciuto per la sua ricerca spaziale e architettonica in campo pittorico. I suoi ambienti sempre ben delineati, perlopiù perfetti ritratti di interni -chiusi anche quando ritraggono ambienti naturali- nelle opere in mostra lasciano spazio ad aperture verso l’esterno. Che si tratti di scene di campagna giapponesi –a cui si avvicina anche per lo stile decorativo e calligrafico, forse un troppo tendente all’ornamentale– o che si presentino come quadri apparentemente incompiuti, per via delle porzioni di tela scoperta. Ma si tratta di una scelta ben precisa, che scardina i limiti della costruzione architettonica, sconvolge le geometrie ed apre nuovi orizzonti nella lettura dell’opera. Un percorso già intrapreso nelle precedenti opere, in cui le sbavature di colore operavano un tentativo di decostruzione dell’immagine, qui ancora più evidente sebbene in un contesto più pulito e nitido.
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