L’altra Istanbul è un racconto poetico e, allo stesso tempo, lucido che attraversa le sfaccettature di questa città unica. Una città di antichi sapori, dai tanti nomi, che si è sempre saputa tuffare nei ritmi vitali del contemporaneo. Migliaia di flash si rincorrono e riflettono, ogni giorno, nell’oro dei mosaici di Santa Sofia, nelle maioliche della moschea Azzurra, nel tesoro del Topkapi, nei cristalli del Dolmabahçe, negli affreschi di San Salvatore in Chora, nelle inutilità del Gran bazar, nel buio umido della Basilica Cisterna.
Ma non è questa l’Istanbul magica e inevitabilmente stereotipata che Hasan Senyuksel -curatore della mostra nonché direttore della rivista fotografica
Iz– ha voluto presentare al pubblico italiano. “
Dare un’immagine che non fosse quella delle cartoline postali -afferma Senyuksel-,
così nasce l’idea della mostra. Volevamo mostrare il volto di una città autentica, grande, fatta di luci e ombre, con i suoi problemi di vita reale e le sue periferie. Abbiamo trovato interessante anche, oltre alle foto di Güler, mettere a confronto il lavoro di tre diverse generazioni di fotografi, tutti professionisti nell’ambito del fotogiornalismo. Un racconto fotografico, il loro, che pur essendo attento all’aspetto documentario ha sempre un’alta componente artistica”.
Niente manierismi, un ritmo narrativo serrato. Il più giovane
Coþkun Aþar (1974) racconta la storia di un ragazzino di nove anni, Kadir, che come tanti vive ai margini della società, abbandonato a se stesso. Istanbul è anche emergenza sociale, emarginazione, fame, solitudine. Ricoperta di neve nello sguardo di
Ercan Arslan (1970), la città appare ovattata ma non meno animata. Colori sgargianti nelle foto di
Kutup Dalgakiran (1960), attento osservatore della vita di quartieri come Ahirkapi, Kuþtepe, Sulukule, tra feste per la circoncisione, matrimoni e serate d’estate. Cerca e cattura gli antichi mestieri, invece, –
Erdal Yazici (1953) quando si aggira con la macchina fotografica per le yali di legno che guardano il Bosforo. Dedicato al soggetto dei mestieri tradizionali che vanno via via sparendo è il suo primo libro fotografico,
A tale of falling leaves, interamente realizzato in bianco e nero.
Quanto agli incredibili scatti di
Ara Güler (1928) -testimone di momenti di rara bellezza- tra i profili dei minareti troviamo carrozze trainate dai cavalli, tram e barconi di legno che ondeggiano. Gli uomini chiacchierano, seduti fuori dal caffè d’angolo nel passaggio Hacopulo a Beyoðlu, in una fotografia del 1958. L’atmosfera è certamente cambiata da allora: meno sonnolento, il quartiere è popolato di caffetterie e locali. Uno di questi è il Café Ara, al n. 6 di Tosbag Sokak, sulla piazza di Galatasaray. Dedicato proprio al celebre fotografo, e non è affatto difficile incontrarlo lì.