Nicola De Maria (Foglianise, 1954) è un esponente di quella corrente che, nel 1979, Achille Bonito Oliva definì Transavanguardia. Sempre in quell’anno venne allestita la sua prima mostra, ad Acireale. De Maria non nasce pittore: si laurea in medicina e si specializza in neurologia. E quando si dedica all’arte, lo fa con uno stile che è marcatamente personale, soggettivo, tipicamente rappresentativo del “gruppo” di cui fa parte. Tra i suoi colleghi è l’unico che si dedica a una tale rappresentazione astratta, dinamica, che -superando i confini della tela- si mette in contatto con l’ambiente circostante.
Le tele esposte dimostrano quanto la Transavanguardia abbia lavorato al recupero del passato -in chiave narrativa ed espressiva- per sopperire all’esasperazione concettuale che aveva inasprito tutte le forme dell’arte, più che all’anti-accademismo dell’avanguardia. Una particolare attenzione rivolta all’uso dei materiali che, nobili o vili, trovano comunque una nuova dimensione di vita, che li inserisce a pieno titolo in un processo artistico di combustione visiva. Anche la figura dell’artista passa su un piano diverso, traslando dalla funzione di conduttore-eroe a quella di nomade.
Un artista, insomma, che si guarda alle spalle per documentarsi e confrontarsi ecletticamente con la storia e le tradizioni, il che lo porta a trovare infinite soluzioni stilistiche.
I lavori di De Maria ben si inseriscono in questo contesto di contaminazione perpetua e perenne e, pur nella loro semplicità, coinvolgono sempre. Il concetto di recupero esplode nei colori vivaci delle tele più che nella luminosità traboccante o negli accostamenti energici. Le linee sono compatte e la geometria suscita un forte impatto, che non disdegna di richiamare l’emotività espressionista. In altri casi, invece, l’impulsività creativa lascia spazio alla nostalgia di una pacata rappresentazione che narra di antiche e perdute visioni.
In mostra anche due opere di
Emilio Prini (Stresa, 1943), con un omaggio a De Maria. Qui il carattere è squisitamente psichico, perfettamente scarno. Radicale e raffinato. E suggerisce metafore concettuali purissime.
L’opera di De Maria getta le basi per una riflessione artistica profonda. Lo spettatore perde le norme di ancoraggio morale, gli schemi formali predefiniti e trova nuove forze che animano linee e colori, immagini disarticolate e visioni allo stato puro. La poetica della Transavanguardia lascia spazio a studi liberi e rappresentazioni ancestrali; una svolta ironica che, di lì a poco, ispirerà anche il gruppo dei cosiddetti “Nuovi selvaggi”.