Ironico lo è certamente,
Nabuyoshi Araki (Tokyo, 1940), non solo perché firma autografi accompagnandoli con la caricatura del proprio volto (che così rotonda e con le orecchie appuntite ricorda vagamente un porcellino dei cartoon), ma anche per via del suo look stravagante. Scherza e sorride dietro gli occhialetti tondi mentre parla del suo lavoro, in occasione dell’apertura della mostra
Araki Gold. Tappa successiva di questa full immersion organizzata dall’Istituto Nazionale per la Grafica, nell’ambito del programma
Vetrine alla Calcografia, sarà l’Archivio di Stato di Torino.
A completare il percorso attraverso l’opera del fotografo giapponese -dagli esordi negli anni ’60 a oggi- anche un video realizzato durante il soggiorno romano. Dedicata a Roma, tra l’altro, proprio la serie di scatti a colori
Flowers, composizioni floreali fotografate poco prima che sfiorissero. Un inno alla bellezza, alla femminilità, ma anche alla caducità, al passaggio dalla vita alla morte.
Quasi tutte le immagini esposte sono inedite, come sottolinea il curatore Filippo Moggia,
che ha sfidato la resistenza dell’autore riuscendo a presentare i reportage più vecchi, scatti realizzati in bianco e nero nel corso del 1965. Araki all’epoca lavorava per la Dentsu Advertising e ogni giorno era solito trascorrere la pausa pranzo in giro per Ginza, quartiere di Tokyo famoso per lo shopping, con la macchina fotografica a tracolla. In mostra anche i ritratti di volti noti e sconosciuti, gli ultimi quattro anni di
Tokyo Diary 2003-2007 e una selezione di
Some Stories degli anni ’80 e ’90.
Lo sguardo scorre avido sulle migliaia di fotografie (solo cinquemila sono polaroid) che tappezzano intere pareti del primo piano di Palazzo Fontana di Trevi. Senza cornici, senza altri supporti che non siano la carta fotografica, il coinvolgimento è più diretto. Qui e là autoritratti, paesaggi, nuvole, cibi che giocosamente evocano la forma degli organi sessuali, e un’ampia gamma di nudi femminili bondage. Nudi in cui i confini fra opposti sono poco definiti. Guardandoli non possono non venire in mente frammenti catturati dai romanzi di Ryu Murakami o Natsuo Kirino.
La macchina fotografica, per l’autore, non è che il prolungamento dell’occhio. Fotografa come respira: “
La fotografia è come il sesso, è qualcosa che si impara naturalmente”, spiega. Araki non si ispira mai a una storia, che sia film o romanzo, scritta da altri. Né traccia uno story-board. Gli basta scattare tutto ciò che lo circonda: “
La storia è intrinseca al mio modello”.
Un vecchio amore, quello per la fotografia, che è un’eredità paterna: “
Stando vicino a mio padre ho assorbito in modo naturale la tecnica e l’amore per la fotografia. È bastato osservarlo per acquisire le nozioni basilari. Tecnicamente, in fondo, la fotografia è un qualcosa di molto semplice. Per fotografare, invece, bisogna vivere. La fotografia è questo: è la vita. Questa è la mia ricerca”.
Visualizza commenti
Mi ricordo di questa bellissima mostra sulle foto di Araki! Tante stupende donne giapponesi nude e legate in stile bondage!
È stato meraviglioso!