L’arte di
Piero Pompili (Roma, 1967) è conservativa. Nel senso che Pompili conserva la memoria dei luoghi della sua vita, ricavandoli dagli sguardi delle persone che immortala negli anni e che la Nuova Pesa presenta ordinatamente su un’unica parete.
Come se fosse il frutto di un’opera d’archivista di memoria warburghiana, la serie rinvia sia alla soggettività dell’autore, che ne conserva un ricordo di vita, sia alla collettività, laddove attraverso le immagini – realizzate dal 1997 al 2002 – si colgono le trasformazioni della società.
Inoltre, Pompili conserva la memoria dell’arte, propria e altrui. Ad aprire la mostra, il cui titolo
Storia della croce vera rievoca l’opera con cui ha partecipato alla Quadriennale, è l’omaggio al
Cristo morto di
Mantegna. In prospettiva rovesciata, frontalmente all’entrata, la grande fotografia proietta lo sguardo del visitatore sul capo di un uomo riverso a terra, di cui intravediamo alcuni elementi che riportano a un tema già frequentato dall’artista: la boxe. La citazione di Mantegna lascia spiragli evidenti alle opere che le sono succedute omaggiandola, dal
The Morgue di
Andres Serrano al
Soliloquiy VII di
Taylor-Wood.
Sul piano cromatico le opere optano per un preciso “
linguaggio“, come l’artista lo definisce, ossia il bianco e il nero. Alla tradizione rinascimentale si riconduce la predilezione per la rappresentazione del soggetto umano, del modellato. Un corpo scultoreo nel quale non vi è tuttavia immobilità statuaria, perché se ne coglie il respiro, la vita, come se la statua stesse prendendo forma in quel momento.
Se la fotografia immortala l’istante, Pompili preferisce assicurarne il processo; una sala in particolare è dedicata al racconto visivo della macellazione di un maiale. Ai piani di azione si alternano i ritratti dei carnefici. Tra i concetti di vita e morte il confine pare confondersi, per lasciar spazio alla dialettica tra corpo vivo e corpo morto, laddove l’uno può riservare la sorpresa di essere il suo opposto: ancora il pugile. Se la mattanza del bue in
Bacon poteva essere solo immaginata, qui è rappresentata nelle diverse fasi e si conclude con la fotografia di un teschio, in posa su un piano rialzato, ripulito dal sangue come da ogni altra presenza in scena.
La Nuova Pesa incornicia un percorso che solo in apparenza segnala un bivio: a sinistra l’animale squartato è come un pagano altare agli dei, a destra il visitatore è invitato a sostenere lo sguardo diretto degli uomini e delle donne che Pompili ha incontrato a Roma. Cerniera tra i due sentieri è il pugile riverso, a rammentarci che in scena c’è soprattutto il corpo, anche mozzato – come quello delle statue inquadrate o dei tagli fotografici prescelti – ma sempre corpo.
Un corpo che, se anche la fotografia mortifica, è pur sempre pronto a tornare in vita nello scatto successivo. Come nella storia della Croce.