“
Tri tri tri, fru fru fru, ihu ihu ihu, uhi uhi uhi! Il poeta si diverte, pazzamente, smisuratamente! Non lo state a insolentire, lasciatelo divertire poveretto, queste piccole corbellerie sono il suo diletto”. Così scriveva nel 1910 Aldo Palazzeschi, celebrando quell’idea di movimento, di avanguardia e di scomposizione tipica dell’onda futurista.
L’avanguardia letteraria e artistica, lanciata nel 1909 dal
Manifesto, compie un secolo e, fra i tanti eventi che in tutta Italia sono stati allestiti per festeggiare il centenario, c’è anche la mostra
Futurismo Manifesto 100×100, interamente dedicata al linguaggio e allo stile proprio dei manifesti futuristi.
Pagine e pagine si “concedono” agli occhi dei visitatori, sotto teche di vetro. Si va dal
Manifesto del Futurismo redatto da
Filippo Tommaso Marinetti e pubblicato sulle pagine del quotidiano francese “Le Figaro” il 20 febbraio del 1920, passando per il
Manifesto dei pittori futuristi, il
Manifesto dei musicisti futuristi, il
Manifesto della Scultura Futurista e il
Manifesto dell’Architettura Futurista.
Mentre si attraversano le tre sale che ospitano i vari carteggi, si sentono i rumori e i frastuoni tipici della società industriale, della metropoli, delle auto in corsa e dei treni fumosi che hanno inesorabilmente cambiato il modo di muoversi nello spazio e nel tempo. Il Futurismo, infatti, utilizza la scomposizione per rendere la dimensione temporale, il movimento.
La ricerca di quest’avanguardia del Novecento ha uno scopo ben preciso: rappresentare non un istante di movimento, ma
il movimento stesso nel suo svolgersi nello spazio e nel suo impatto emozionale. È l’estetica della velocità a farla da padrona, con l’egemonia dell’elemento dinamico, che riprende quello dei treni, degli aeroplani, delle masse multicolori e polifoniche e delle azioni quotidiane. La scrittura stessa è dinamica, senza punteggiatura, senza sosta.
Nel 1916 viene pubblicato il
Manifesto della cinematografia futurista, firmato da Marinetti,
Corra,
Ginna,
Balla,
Chiti e
Settimelli, che sosteneva come il cinema fosse per natura arte futurista, grazie alla mancanza di passato e tradizioni. Un cinema, quello futurista, fatto di “
viaggi, cacce e guerre“, all’insegna di uno spettacolo “
antigrazioso, deformatore, impressionista, sintetico, dinamico, parolibero“.
Il
Manifesto del Futurismo del 1909 fu scritto da Marinetti proprio per fornire una raccolta concisa di pensieri e intenzioni, rivelandosi una violenta esplosione sullo sfondo di un’Italia contadina e analfabeta, ancora alla mercè dei retaggi di una cultura tardo-romantica e ottocentesca. Così si scatena il mito della macchina e del progresso, insieme al disprezzo per la tradizione e per l’accademismo, come nuovi valori alla base del grido futurista. La mostra funge da contenitore/raccoglitore dei fogli originali, in una “full immersion” dinamizzata dall’uso di video-installazioni e di multi-proiezioni che, anche visivamente, portano il fruitore a entrare in stretto contatto con la vera natura del Futurismo. Alcune frasi estratte dai più significativi scritti futuristi e le immagini delle opere e dei protagonisti del movimento arricchiscono il percorso espositivo.
Come ha scritto Bonito Oliva, curatore della mostra, si vuole “
massaggiare il muscolo atrofizzato dello spettatore, rendendo questo spazio frantumato, fluido, continuo, fratturato, catastrofico, con l’esposizione dei 100 manifesti originali. Ma questo non basterebbe, sarebbe come esporre 100 feticci, a noi interessa scongelare, vaporizzare le parole contenute nei manifesti e produrre un’estetizzazione espositiva attraverso un percorso che è senz’altro frutto dalla volontà del curatore ma anche della collaborazione degli architetti che hanno sposato questa necessità”.