Descrivere un paesaggio è (relativamente) facile, descrivere un territorio lo è molto meno. Perché il vissuto che lo rende tale è ricco e variegato, talmente complesso da affondare le radici nei primordi della nostra evoluzione. Insomma, si dovrebbe partire dal monolito di Kubrick -quello di 2001: Odissea nello spazio– che trasforma una comunità di primati in feroci tribù belligeranti, e arrivare ai meccanismi di potere e di interessi che hanno portato alla creazione degli Stati e poi alle guerre d’invasione. Il gruppo di ventidue artisti di Arterritory ha spaziato liberamente fra questi due estremi, indicando ciascuno un percorso di comprensione del tema che si inserisce nel quadro completo come una tessera del mosaico. Senza dimenticare ovviamente il ruolo fondamentale del quotidiano, dell’interazione io-tu, che porta a creare giorno dopo giorno questa entità astratta, la quale ha però un ruolo concretissimo e fondamentale nella vita di ciascuno di noi.
Il gazometro dell’Ostiense in questo tentativo regna sovrano, focus di partenza a due passi dalla sede della mostra –significativo atto di autoreferenzialità– e da lì si prende il via con tutta una serie di interpretazioni e riferimenti, indicazioni e analisi, ma anche suggestioni e presagi. Il gazometro, dicevamo, che Andrea Chiesi (Modena, 1966), nel suo Fattore 17, ci propone come un superno elargitore di razionalità, nella sua geometrica intersezione di stanghe d’acciaio, in un mondo che di razionale ha ben poco. E che invece Marina Paris (Sassoferrato, 1965), con un gioco di contorni, descrive quasi come un gigante buono e protettivo che veglia sul quartiere, senza imporsi troppo.
Da mettere in antitesi, ma destinata a sfociare in sintesi, anche la prova in certo modo classica di Tommaso Cascella (Roma, 1951) col suo Mercato, sculture evocative ispirate all’antico uso dei Mercati Generali, sempre sull’Ostiense e ora riconvertiti a luogo di incontro per i giovani, con la trasformazione operata dagli Spacexperience Stalker (Roma, 1995) sulla gigantesca struttura cuore stesso della Centrale, trasfigurata con festoni di stoffa, utilizzabili anche come amache, in un luogo-non luogo dell’incontro e della riflessione, circondata da proiezioni video di feste etniche rallegrate da danze e musiche locali.
L’idea di territorio meno accogliente e più politica è invece proposta da opere come Con el mismo afán de la conquista (Con lo stesso entusiasmo della conquista) di Carlos Garaicoa (L’Avana, 1967), dove due turisti in marcia in un qualche paese latinoamericano vengono fotografati insieme ad un intarsio di maioliche dipinte che riproduce una caravella. O come l’Unsuccesful Attack to the World Trade Center di Paolo Buggiani (Castelfiorentino, 1933), esorcistica opera dove un giocoliere equilibrista tenta di dare fuoco, spruzzandolo dalla bocca, alle Torri Gemelle (ma il lavoro è ben precedente al fattaccio del 2001). Cosa verrà poi ce lo dicono le visioni futuristiche, indagini dalla prospettiva vertiginosa su ciò che sarà del nostro vivere e convivere, come le panoramiche allucinate di Giacomo Costa (Firenze, 1970) o come la Metallic Creature ancora di Buggiani, un rilucente Mad Max dal becco aguzzo, che spingono lo sguardo lontano là dove il gazometro sarà ormai un antichissimo e forse dimenticato reperto archeologico.
E intanto ci siamo noi, che cerchiamo di fare del nostro meglio per vincere questa scommessa e portare avanti l’opera, quella pratica, effettiva. Per fortuna accompagnati, nell’attraversarlo come talpe laboriose, dai Keith Haring Subway Drawings (Kutztown, 1958 – New York, 1990), ironici quadretti che ci ricordano come quella del nostro territorio sia una conquista non già data una volta per tutte, ma da rinnovarsi, con spontaneità ed energia, di giorno in giorno.
valeria silvestri
mostra visitata il 14 dicembre 2006
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Mostra organizzata in uno spazio pubblico: la curatrice ha creduto bene di fare tutto in famiglia, invitando ad esporre marito, genero e suocero!
3 al prezzo di uno o 1 al prezzo di tre?
Complimenti per la discrezione, ormai navighiamo nel più sfrontato e istituzionalizzato nepotismo...
Mi dispiace sapere di questi nepotismi, ma la mostra vale la visita, inserita in un'area di archeologia industriale in ristrutturazione e in uno dei pochi edifici esempio di riconversione architettonica. Non trovo l'allestimento omogeneo ma le opere sono interessanti, fra tutte il video Know Yourself di Adrian Tranquilli.
In effetti, suggerivo esattamente questo: alcune presenze in mostra mi sembra che abbiano davvero poco a che fare con l'assunto di base - senza nulla togliere agli altri lavori.
Per il resto, a buon intenditor poche parole.
Dando per scontato che tutti sappiamo di chi stiamo parlando - sebbene lo si possa evincere solo da una conoscenza diretta... - qual'è il punto dell'obiezione?
Suggerisci forse che la qualità e la tematica del loro lavoro non è in linea con il soggetto della mostra?
Eppoi, non dimentichiamoci che stiamo parlando di una collettiva di 22 artisti, perchè sminuire, in questo modo, gli altri 19?
Cosa dire allora dei fratelli Perone? Secondo la tua logica non dovrebbero più lavorare insieme...
Forse ti sfugge che uno dei motivi per cui sono stati inclusi gli artisti a cui ti riferisci è proprio questo: quale modo migliore dell'occhio di due generazioni di una stessa famiglia per fotografare l'evoluzione e la trasformazione del territorio?!