Qualcuna
di queste principesse certamente usciva dal recinto degli stereotipi: è il caso
della nobildonna in questione.
Charlotte Bonaparte (1802-1839) portò faticosamente il fardello di un
cognome alquanto impegnativo. Era figlia di Joseph, fratello maggiore di
Napoleone e di Julie Clary, sorella di Desirée, regina di Svezia e Norvegia.
Una “
petite histoire” – come la
definisce Giulia Gorgone, responsabile del coordinamento del Museo Napoleonico
di Roma e curatrice, con Maria Elisa Tittoni, della mostra dedicata a lei – che
fa da corollario a una storia ben più grande, quella dell’epopea napoleonica.
Il
volto di Charlotte è presente in più di un ritratto, a partire dal dipinto di
Jacques-Louis David (datato 1821) in cui, bambina, è raffigurata accanto alla sorella Zenaide, che
legge la lettera inviata dal padre dall’esilio americano. La tela fa parte
delle collezioni del museo, come pure dodici dei quindici album presentati in
occasione della mostra
Charlotte Bonaparte dama di molto spirito. La
romantica vita di una principessa artista.
Preziosi
carnet fitti di disegni, acquarelli, miniature e litografie, non solo
dell’autrice ma di altri artisti con cui fu in contatto:
Jesi,
Keisermann,
Boguet,
Robert,
Stapleaux,
van den Abeele,
Granet,
Pinelli,
Doussault…
Una
vita inquieta, la sua, segnata dal dolore per la perdita del giovane marito, il
cugino Napoleone Luigi, e più tardi avvolta nel mistero della morte improvvisa
– all’età di 37 anni – avvenuta poco dopo aver dato alla luce un feto morto,
frutto di un amore nascosto.
A
Charlotte e Zenaide Bonaparte è dedicata anche una sala del Museo Napoleonico,
quella con l’affresco neogotico, stile particolarmente apprezzato dall’artista.
Benché smantellata in occasione della mostra – prima tappa di un percorso che
proseguirà nelle Residenze Napoleoniche all’Elba e al Musée National du Château
de Malmaison – l’ambiente è avvolto da un’atmosfera d’intimità: il cuscino con
l’aquila ricamata, una pianta della città di Firenze realizzata da Charlotte,
un paio di pantofole…
Nelle
cinque sezioni della mostra sono tratteggiati i momenti salienti di questa “
personalità
complessa, travagliata, fragile, sempre in fuga”, dall’infanzia nella tenuta di Mortefontaine
(vicino a Parigi), lontano dai fasti dell’impero, all’esilio: prima a
Francoforte, poi a Bruxelles e da lì in Italia – soprattutto a Firenze e Roma –
dopo il soggiorno americano.
I
primi schizzi appartengono al soggiorno tedesco, quando la nobildonna
girovagava nei dintorni della città con il suo carnet, su cui tratteggiava
paesaggi naturalistici. A Bruxelles, invece, risale l’apprendimento
nell’atelier di
David,
interrotto nel 1821, quando si recò a Philadelphia per seguire il volere del
padre. Scelta di cui si pentirà – come testimoniano le lettere – consapevole
del fatto che, se fosse rimasta più tempo con il maestro, sarebbe diventata una
vera artista.
Gli
album con i disegni sono il
fil rouge della mostra, concepita per presentare al pubblico la figura di Charlotte
Bonaparte in quanto
femme artiste.
Il dialogo è, quindi, tra i fogli con i disegni, esposti all’interno di una
sorta di leggio continuo e gli altri oggetti: quadri, la
table ronde, il nécessaire da acquarellista. In vetrina anche
alcuni indumenti, tra cui i due preziosi abiti indossati dalla madre: quello
bianco, in occasione della cerimonia d’incoronazione di Napoleone; l’altro, di
velluto con strascico, è lo stesso con cui è ritratta con le figlie, nel suo
status di Regina di Napoli da
Jean Baptiste Wicar (il quadro è un prestito del Palazzo Reale di
Caserta).
Di
Charlotte non si era mai ricostruito il profilo biografico, tranne un breve
saggio scritto da Diego Angeli in
I Bonaparte a Roma, pubblicato nel 1938. Sessant’anni dopo è stata
proprio Giulia Gorgone, lavorando al carteggio di Giacomo Leopardi, a
imbattersi in un intenso scambio epistolare tra il poeta e la nobildonna. In
una lettera in francese del 2 luglio 1831, indirizzata alla sorella, Leopardi
la descriveva così: “
Charlotte Bonaparte è una persona affascinante; non
bella, ma dotata di molto spirito e di gusto, e molto colta. Disegna bene e ha
dei begli occhi”.
A
parte un diario che risale agli anni americani (1822-24), il ritrovamento delle
lettere è stata una fonte fondamentale per ripercorrere la sua vita: la
Fondazione Primoli ne conserva circa mille, in parte inedite, inviate
dall’artista alla madre, alla sorella e alla cugina Juliette. “
Credo che la
parte più emozionante del lavoro sia stato trovare la ‘liaison’ tra queste
lettere e le opere”, spiega la
studiosa. Lettere in cui, più volte, emerge il ruolo terapeutico dell’arte,
unico riparo dalle inquietudini esistenziali.