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fino al 18.V.2005 Claudio Parmiggiani – Pinxit et celavit Roma, Galleria dell’Oca
roma
Quello che resta delle cose. Fumo, fuliggine e ombre di un bianco che abbaglia. Come in una vanitas contemporanea. Una piccola, ma significativa antologica di Claudio Parmiggiani…
A parlare pare che sia l’ombra. Quella che s’insinua tra gli scaffali e resta sul muro, a tracciare il profilo dei libri che mancano. Un paradosso, questo dell’ombra solidificata, non nuovo nell’arte di Claudio Parmiggiani (Luzzara, Reggio Emilia, 1943; vive a Bologna). Le prime delocazioni, infatti, sono del ‘70, eppure il fascino del lavoro lento di fuoco, fumo, fuliggine è il medesimo: qualcosa che sta a metà tra l’alone di mistero e la sottigliezza del gioco intellettuale, condotto con rigore –certamente- ma simile pure ad una riflessione intima, attraversata da un afflato malinconico.
Così, in una delle sale della galleria, l’intervento dell’artista può materializzare un’imponente scaffalatura: il luogo è quello dove un tempo era la biblioteca dello studioso Giuliano Briganti. L’immagine che risulta è simile ad un’apparizione, con la massa dei libri -ormai scomparsi- che diventa un muro compatto, di un candore abbacinante, come pura luce.
Se i riferimenti –da quelli più diretti ed espliciti a quelli più nascosti- vanno naturalmente all’opus alchemico è altrettanto palpabile la vena nostalgica, il senso della fine inesorabile. C’è una profonda, abissale solitudine, dopotutto.
E il bianco luminoso del vuoto lasciato dai libri più che rischiarare ipnotizza.
In mostra, con un allestimento un po’ troppo concentrato, una serie di opere traccia un arco cronologico dagli anni ’70 ad oggi, sul filo di una coerenza che sorprende. Per la continuità di lessico, di immagini (come veri e propri topoi), di sensazioni.
Da una delle prime delocazioni (datata proprio 1970), dalla resa pastosa, quasi pittorica, ai pani fusi in ghisa e accatastati in un angolo, impossibili da muovere (Pane, 1998), ai calchi in gesso di matrice classica cui si accosta un dettaglio rivelatore (il passerotto impagliato nel Senza Titolo del 1995, la lampada ad olio nel Senza Titolo datato 1982).
È un’opera del 1977 ad aprire la mostra: un ceppo, un’incudine, alle spalle una tela bianca, come un schermo abbagliante, perfetta. Il percorso pare chiudersi nel volo di farfalle di una tela datata 2005: questa volta il fondo -ottenuto dal deposito di fumo e fuliggine- è di un grigio quasi uniforme, interrotto da pochi frammenti di ali colorate. Elegia discreta per qualcosa che non c’è più.
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Galleria dell’Oca, via della Mercede 12 a (piazza di Spagna), ingresso scala principale 3 piano, 066781825, www.galleriadelloca.it, info@galleriadelloca.it lun_ven 10-13 / 16.30-19.30
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