Alle prese con il non semplice spazio espositivo (una sala rettangolare con un pilastro laterale che scardina l’unitarietà dell’insieme visivo interno), Max Renkel ha presentato una serie di cinque tele di medie dimensioni appositamente pensate per la mostra e caratterizzate da una salda continuità stilistica, ricercata in primo luogo restringendo la tavolozza a pochi, concentrati colori, ed evitandone altri altrimenti presenti nel resto della produzione dell’artista tedesco.
Comprese dunque in una scala cromatica retta da accostamenti algidamente stranianti dove predominano i toni blu e terrosi, le cinque opere sviluppano con limpida coerenza una ricerca sulla percezione delle forme che da tempo caratterizza il lavoro di Renkel, incentrato sulla scomposizione e ricomposizione della figura nel tentativo di tendere un ponte, o meglio ancora cercare un passaggio tra figurazione ed astrazione.
Per molti versi, in effetti, si potrebbe prendere questa serie come un perfetto omaggio alle teorizzazioni sulla Gestalt che tanto hanno occupato menti varie, lettini da psicanalista e studi d’artista sin dalla prima metà del secolo scorso, a partire dalle intuizioni di Max Wertheimer & Co. in poi. Nelle pitture esposte, infatti, primo motore visivo è il corpo femminile con le sue vesti, colto in dettagli più e più volte sovrapposti fino a creare sinuose griglie e reticoli, pattern formali sciolti nel dialogo pastoso delle tempere dove la sensualità primigenia dell’immagi
Date tali premesse, a un primo sguardo si potrebbe azzardare un richiamo ai colorati nudi femminili di Tom Wesselmann, ma con il rischio di finire presto fuori strada: a differenza dell’estetica pop cara all’artista americano, dove l’effetto spiazzante immediato dato dalla piattezza mosaicale dei colori è immediatamente superato dal riconoscimento del modello, nel caso di Renkel l’intento è propriamente quello di ritardare quanto più possibile tale riconoscimento, lasciando l’occhio e il pensiero a vagare in un labirinto visivo quietamente accogliente nella sua indeterminatezza. in questo modo, la tersa astrattezza dell’insieme mantiene comunque una risonanza dell’originario principio figurativo, ottenendo per l’immagine un dinamismo compatto che celebra in maniera efficace quella considerazione di Rudolf Arnheim posta a suggello del suo Arte e percezione visiva, per cui “non c’è nulla di più concreto del colore, della forma, del movimento”.
luca arnaudo
mostra visitata l’8 maggio 2007
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