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03
aprile 2008
fino al 18.V.2008 Giovanni Baronzio Roma, Palazzo Barberini
roma
La pittura “narrativa” del Trecento rivive nelle tavole dei maestri riminesi. Suggestioni giottesche, un raffinato gusto per la decorazione, un elaborato quanto delicato restauro. Per restituire all’antico splendore un capolavoro senza tempo...
di Michele Nero
La pittura riminese del Trecento rappresenta uno dei massimi punti di snodo della storia dell’arte italiana. Giovanni Baronzio è uno dei principali esponenti di questa corrente e il Dossale commissionatogli dai francescani resta uno dei capolavori indiscussi della sua pittura “narrativa”. Scene della Passione di Cristo sono riprese e raccontate seguendo un filo teologico perfetto. Opere di piccole dimensioni, molto ben cesellate, rievocano con minuzia eventi storici e cristiani che si pongono alle basi delle nostre fondamenta religiose.In mostra anche opere di noti artisti trecenteschi quali Neri da Rimini, seguace di Giotto o dei fratelli Giovanni e Pietro da Rimini. Insieme a loro, il Maestro di Verrucchio.
Le fonti storiche sul periodo scarseggiano e sullo stesso Baronzio sappiamo solo che operò tra gli anni ‘20 e ‘50 del secolo. Molti sono i tratti che però lo avvicinano a Pietro da Rimini. Quali? Il riferimento a Giotto, la capacità di narrare per immagini, il gusto raffinato per la decorazione, sia nelle vesti dei personaggi che nei magnifici fondi aurei finemente incisi. Il Dossale stesso rievoca le atmosfere giottesche. Ideato per la chiesa di Villa Verrucchio, fu realizzato intorno al 1330. In quell’epoca, la tradizione francescana era molto radicata, al punto che Baronzio chiese di esser sepolto nella chiesa di San Francesco da Rimini.
Il dipinto si snoda seguendo una duplice traiettoria, dall’alto al basso e da destra a sinistra. Partendo dall’Ultima Cena fino alla Salita al Calvario. Ogni ciclo si conclude con un pensiero metafisico: la figura della Madonna in preghiera, ad esempio, evoca atmosfere bizantine, visibilmente rappresentate nelle frange dorate del manto. Le scene contengono spesso elementi extra-temporali, che arricchiscono il tema principale e, allo stesso tempo, lo integrano sapientemente. Si pensi all’Ultima Cena, dove si contrappongono le figure di Giovanni Evangelista e di Giuda, seduti di fronte. Il primo come esempio massimo di fedeltà e devozione, il secondo come metafora del tradimento e dell’abbandono.
Il restauro del Dossale ha contribuito a riportare alla luce le antiche tonalità, eliminando i ritocchi pittorici dei precedenti interventi. Anche le dorature hanno riacquistato lucentezza, facendo riemergere le punzonature lungo le aureole dei personaggi e i motivi floreali sullo sfondo. Del Dossale restano tuttavia solo due pannelli, ciascuno suddiviso in sei ulteriori riquadri. Mancano perciò la parte centrale con la Crocifissione e i pannelli laterali della sezione superiore.
In mostra anche alcune opere di maestri riminesi, che generano un continuum visivo-temporale di notevole suggestione, soprattutto in capolavori come il Crocifisso di Giovanni da Rimini, il Trittico con l’Incoronazione della Vergine e Santi e la Crocifissione del Maestro di Verrucchio.
Le fonti storiche sul periodo scarseggiano e sullo stesso Baronzio sappiamo solo che operò tra gli anni ‘20 e ‘50 del secolo. Molti sono i tratti che però lo avvicinano a Pietro da Rimini. Quali? Il riferimento a Giotto, la capacità di narrare per immagini, il gusto raffinato per la decorazione, sia nelle vesti dei personaggi che nei magnifici fondi aurei finemente incisi. Il Dossale stesso rievoca le atmosfere giottesche. Ideato per la chiesa di Villa Verrucchio, fu realizzato intorno al 1330. In quell’epoca, la tradizione francescana era molto radicata, al punto che Baronzio chiese di esser sepolto nella chiesa di San Francesco da Rimini.
Il dipinto si snoda seguendo una duplice traiettoria, dall’alto al basso e da destra a sinistra. Partendo dall’Ultima Cena fino alla Salita al Calvario. Ogni ciclo si conclude con un pensiero metafisico: la figura della Madonna in preghiera, ad esempio, evoca atmosfere bizantine, visibilmente rappresentate nelle frange dorate del manto. Le scene contengono spesso elementi extra-temporali, che arricchiscono il tema principale e, allo stesso tempo, lo integrano sapientemente. Si pensi all’Ultima Cena, dove si contrappongono le figure di Giovanni Evangelista e di Giuda, seduti di fronte. Il primo come esempio massimo di fedeltà e devozione, il secondo come metafora del tradimento e dell’abbandono.
Il restauro del Dossale ha contribuito a riportare alla luce le antiche tonalità, eliminando i ritocchi pittorici dei precedenti interventi. Anche le dorature hanno riacquistato lucentezza, facendo riemergere le punzonature lungo le aureole dei personaggi e i motivi floreali sullo sfondo. Del Dossale restano tuttavia solo due pannelli, ciascuno suddiviso in sei ulteriori riquadri. Mancano perciò la parte centrale con la Crocifissione e i pannelli laterali della sezione superiore.
In mostra anche alcune opere di maestri riminesi, che generano un continuum visivo-temporale di notevole suggestione, soprattutto in capolavori come il Crocifisso di Giovanni da Rimini, il Trittico con l’Incoronazione della Vergine e Santi e la Crocifissione del Maestro di Verrucchio.
michele nero
mostra visitata il 17 marzo 2008
dal 13 marzo al 18 maggio 2008
Giovanni Baronzio e la pittura del Trecento a Rimini
a cura di Daniele Ferrara
Galleria Nazionale d’Arte Antica – Palazzo Barberini
Via delle Quattro Fontane, 13 (zona Fontana di Trevi) – 00184 Roma
Orario: da martedì a domenica ore 10-19
Ingresso: intero € 5; ridotto € 3; biglietto integrato mostra+museo € 9
Catalogo Silvana Editoriale
Info: tel. +39 0632810
[exibart]