Turner a Roma è un corpus di quattro opere con tiratura limitata a cinque, presentato in occasione della prima personale romana di
Hiroyuki Masuyama (Tsukuba, 1968; vive a Düsseldorf), nell’ambito di FotoGrafia, il Festival Internazionale di Roma che include la proiezione di
Family Portraits a Palazzo delle Esposizioni. Dopo
Caspar David Friedrich, l’artista si lascia catturare dal romanticismo di
Turner.
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Il pittore della luce”, com’era soprannominato quest’ultimo, aveva soggiornato a Roma più volte a partire dal 1819 (durante il Grand Tour che lo avrebbe portato anche a Venezia e a Napoli), per tornarvi nel 1828-29, affascinato dalla storia e dalla mitologia. Seguendo la sua metodologia di lavoro, aveva preso dal vero con grande meticolosità gli schizzi delle vedute scenografiche che avrebbe successivamente riordinato in atelier, traducendole in straordinari dipinti a olio. Scorci con le rovine del Foro, campo Vaccino, il Tevere; vedute in cui l’antico si confronta con il contemporaneo.
Altrettanto metodico è stato Masuyama, che nei quattro giorni in cui ha soggiornato nella città eterna -nel gennaio scorso- ha analizzato e interpretato il lavoro del suo predecessore, cercando i punti esatti da cui lo sguardo dell’inglese aveva ammirato le bellezze romane. Una volta individuato il luogo, ha portato con sé la macchina fotografica, arrivando a scattare migliaia di immagini digitali.
Passo successivo, esattamente come per Turner, la rielaborazione in studio del materiale acquisito, ricorrendo a sofisticati software, che gli hanno permesso di ottenere le immagini finali. “
Quello che mi affascina di Turner è soprattutto il montaggio”, spiega il giapponese, “
la sua straordinaria abilità nel ricomporre nel suo studio i bozzetti presi dal vero”.
Un lavoro complesso per accostamenti e sovrapposizioni, in cui l’autore non si è limitato a una semplice citazione. Ha volutamente lasciato traccia della propria presenza artistica, inserendo qui e là dettagli minimi che non sono presenti nelle tele ottocentesche: una pecorella, figurine tratte da anonima pittura di genere, alberi nella loro veste invernale. Dettagli che danno all’armonia compositiva un valore aggiunto, quello concettuale dello spazio-tempo: l’istante viene bloccato nel suo passaggio dal passato al presente.
Nei light box, la pennellata di luce turneriana trova poi nuova vita con l’uso di led luminosi. A differenza di un qualsiasi neon, che produce un’inevitabile visione sincopata di vuoti d’ombre ed eccessi di luce, i led -disposti in maniera uniforme sul retro dell’opera- ne permettono un’illuminazione perfettamente equilibrata, che fa emergere il lavoro digitale, altrimenti impossibile da notare a occhio nudo.