Ecco la mostra che non t’aspetti, una mostra di pagliacci. Un gruppo di bambole da collezione, di quelle che incantano gli anziani e i bambini più piccoli –quelli che ancora non conoscono la televisione– è stato collocato nell’angolo più luminoso dello spazio espositivo come si trattasse del salotto buono di casa. Un’installazione vera e propria, quasi un ready made retrò. Dovunque ti giri, però, ce ne sono altrettanti a parete, di clown, e di un fascino ugualmente desueto, ritratti uno per uno, olio su tela e senza sdoganamenti superreal. Col risultato, neanche a dirlo, che all’inaugurazione non si contavano le facce sconcertate.
Che possiamo farci noi? Da sempre (per fortuna) gira per mostre anche la sora Maria: la novità è che quella di oggi ha preso ad aspettarsi dagli opening, proprio perché fa molto white cube, soltanto silenzi prodigiosi e vertigini rigorosamente minime. E allora valle un po’ a spiegare, se ti riesce, che anche stavolta non ha sbagliato indirizzo.
Così, sotto la luminosità da frigo dei neon e per la gioia di grandi e piccini, Uwe Henneken (Paderborn, Germania, 1974; vive a Berlino) si mette a citare niente meno che l’estetica reazionaria più leziosa, combinando –velenosamente– un cinerama sturm und drang fatto di tramonti e solitudini rupestri con l’apparizione en plein air di costumi di scena indossati da professionisti del circo in libera uscita. Solitari living puppets in giro per landscapes e tanto, tanto colore. Un canovaccio atavico e insieme acido, sdrucito nella sostanza e accademico nella forma (e non, come spesso accade, il contrario), postmoderno ma non solo. Una pittura mai sgrammaticata eppure, in qualche modo, slabbrata e crepitante; un racconto che da madreperlaceo si fa austero, denso, emotivo fino all’agnizione.
Il pensiero va a sorpresa a una certa epopea western di eroi meditabondi tra le rocce, qui impregnati di cipria tanto per confondere le acque, come a dire un po’ Dürer e un po’ Wil Coyote (non guasta un’occhiata all’ultimo video di Ra di Martino, tanto per fare un po’ di frequentazione critica comparativa).
E le bambole? Che domande, si godono anche loro la mostra, con la novità che di fronte a questi quadri fanno l’effetto, proprio loro così poetiche, del freddo prototipo, del progetto ancora tutto mentale. Come se non bastasse, poi, nel catalogo un’intera pagina è dedicata alle ragioni dell’amicizia: “Who are fiends? What are they? And where? One said it’s hard to live with them and it’s much harder without. And one who tries to live alone will not succeed in this world, not as a human being”. Parole dell’artista, a pensarci molto tedesche: quasi una citazione, anche questa tutt’altro che minima, della Nona Sinfonia.
pericle guaglianone
mostra visitata il 4 maggio 2005
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