Un rimarchevole paradosso del sistema dellâarte è che, allâamore diffuso e spesso viscerale degli artisti per il lavoro su carta, è tradizionalmente corrisposta e per molti versi ancora persiste una considerazione deteriore dello stesso da parte del mercato, il quale tende a offrire le opere su tale supporto come una sorta di retrobottega della tela.
Lasciate agli storici e psicologi dei costumi commerciali le indagini piĂš approfondite circa simile discrasia fra artefici e mercanti, ci limitiamo qui a rimarcare da un lato la natura per cosĂŹ dire piĂš immediata, genuina dei lavori su carta (basti pensare a quante volte lo schizzo e il bozzetto si mostrino piĂš ispirati dellâopera compiuta), la loro leggerezza materiale idealmente consona a quella della pura immediatezza creativa, dallâaltro a segnalare lâapertura romana di una galleria dichiaratamente votata alla carta e che, sin dalla sua prima esposizione, si candida a costituire un autorevole riferimento nella Capitale.
La personale in corso è infatti di uno dei grandi nomi dellâarte contemporanea,
Rebecca Horn (Michelstadt, 1944; vive a New York e Berlino),
la quale ha realizzato per lâoccasione una serie di tecniche miste â acrilici e pastelli, in particolare â su carta, tra la piccola e media dimensione, accompagnate da una sorprendente coda di pavone fatta di matite colorate,
Peacock Sunrise, immediatamente riconducibile alle note installazioni meccaniche dellâartista (vedi
Les Amants, del 1991, con fogli musicali, o
Der Zwilling des Raben, del 1997, con piume di corvo).
Si tratta di composizioni fortemente dinamiche, vibranti di tratti sparsi di colore sottile, caratterizzate da unâorganizzazione segnica visivamente piĂš affine alla pittura e calligrafia orientale che alla tradizione astratta dâOccidente, e che proprio perciò trova in
Cy Twombly uno spirito senzâaltro prossimo.
Lâappassionata frequentazione della carta da parte di Rebecca Horn costituisce una sorta di giardino segreto che la mostra ha, tra lâaltro, lâindubbio pregio di svelare in Italia (mentre a livello internazionale ha fatto da apripista una recente, ampia personale presso la galleria Sean Kelly di New York). I
n effetti, se il grande pubblico conosce lâartista tedesca soprattutto per i suoi video e le sue sculture-installazioni, da un lato va ricordato come le prime
drawing performance risalgano agli inizi degli anni â70 (vedi
Pencil Mask, 1972), dallâaltro che Rebecca Horn è anche una poetessa da sempre attenta al rapporto della parola con lâimmagine sulla carta, nonchĂŠ allâideale continuitĂ dello scrivere col disegnare e dipingere.
Prova ne sia unâinteressante intervista raccolta qualche anno fa da Joachim Sartorius, dove lâartista confidava di aver â
sviluppato nel corso degli anni una sorta di ritmo: i disegni stimolano i testi, i testi evolvono nelle scene dei filmâ. Dal che si deduce anche come proprio il lavoro sulla carta sia il laboratorio primigenio di unâopera ammirevole, tanto per la sua multiforme ampiezza quanto per lâinterna coerenza.