Giulio Paolini segue la strada tracciata nel 1960 con Disegno geometrico e orienta nuovamente la sua ricerca artistica verso un’indagine autoriflessiva sull’arte, questa volta con un progetto espositivo, Quadrante, già presentato precedentemente nelle sue diverse parti, ognuna allestita in una galleria o in un museo di Roma, e ora riproposto nell’Atelier del Bosco di Villa Medici in una visione unitaria.
Lo spazio è scandito geometricamente, modulato secondo le forme del quadrato, della linea e del cerchio. Dodici quadri neri occupano la parete di fondo dell’atelier, disposti simmetricamente intorno alla finestra, che partecipa con la sua partitura geometrica al ritmo dell’insieme; i quadri appaiono come simboli, tracce di memoria che emergono tra la griglia di quadrati bianchi. Sul pavimento è disegnato un cerchio al cui interno è collocato un cavalletto estendibile; su di questo poggia un cubo in plexiglas contenente dodici fogli bianchi.
I quadri hanno un passe-partout nero che incornicia negativi fotografici di opere realizzate in passato dall’artista, mentre i fogli bianchi presentano un groviglio di linee nere, inquadrate da un passe-partout bianco che riduce la sua superficie fino a scomparire man mano che il disegno cresce di dimensione. I fogli contenuti nel plexiglas si susseguono presentando un’immagine in continua evoluzione, un’opera in
L’installazione è organizzata secondo una dialettica di poli opposti e complementari che si affrontano in un gioco di continui rimandi, ma si presenta anche come opera indefinita, allusiva, aperta verso la smaterializzazione concettuale. Sono infatti forme pure con le quali l’artista costruisce un percorso cifrato, immagini enigmatiche che non affermano perentoriamente una verità, ma si librano nel vuoto per dare spazio alla prospettiva tracciata dallo spettatore.
Quadrante allora – come sottolinea l’artista – che regola il tempo e il luogo dell’opera: antologia personale orientata al passato e al futuro, lontana dalla vertigine del presente, ma anche esposizione che si offre al fruitore come teatro della percezione, opera aperta in cui poter dar vita alle molteplici possibili visioni. La relatività dei punti di vista inoltre non scardina l’identità dell’opera, al contrario crea un valore aggiuntivo: l’esplorazione dell’ignoto, il superamento del limite del visibile in una direzione che tende all’infinito.
Ed è così che aggirandosi nel vuoto l’artista ci indica la via che si schiude alla totalità.
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