Le mostre di
Tomas Saraceno (San Miguel de Tucumán, 1973; vive a Francoforte), architetto di formazione e artista visionario di professione, risultano sempre difficili da classificare per il loro situarsi sul crinale di riflessioni e suggestioni assai diverse.
Il progetto presentato nella nuova galleria romana diretta da Caterina Tomeo non fa eccezione e consente meritoriamente di avvicinare un’opera che si candida a costituire, nel prossimo futuro, uno snodo importante di quel “realismo visionario” giustamente adottato per titolo di un altro evento, attualmente in corso a Reggio Emilia, del quale sempre Saraceno è tra i protagonisti.
Con i piedi piantati per terra nella tecnologia e la testa fra le nuvole dell’utopia, gli esperimenti dell’artista argentino indagano gli incroci tra esperienza esistenziale e sensibilità ecologica, tracciando direttrici di sorprendente invenzione. Nel passato Saraceno ha già avuto modo di presentare un mirabolante progetto di città volanti (
On clouds – Air port city), o ancora di sovvertire la quotidianità dello spazio urbano, realizzando enormi tende iridescenti di un materiale ipertecnologico (quell’aerogel impiegato nel progetto londinese
Poetic Cosmos of the Breath, di cui l’artista ha anche brevettato un impiego aeronautico, proprio nell’intento di realizzare sul serio delle piattaforme volanti e abitabili).
La mostra romana – allestita con una significativa sezione fotografica relativa alla già citata realizzazione cosmopoetica – risulta invece più direttamente incentrata sull’energia solare e le sue diverse potenzialità (anche estetiche, in questo caso). Attraverso un collettore disposto nella vetrina della galleria, Saraceno convoglia infatti la luce dell’esterno in una camera oscura realizzata all’interno dello spazio espositivo, dove una sfera-pianeta di aerogel si carica di riflessi iridescenti di elegante mutevolezza.
L’attinenza di una simile ricerca con quella di un artista come
Olafur Eliasson è evidente, e non a caso Saraceno è stato un assistente del solare danese (poi ritrovato nell’influente galleria newyorkese Tanya Bonakdar, che rappresenta entrambi), ma il rendiconto dei padri nobili – meglio, dei colleghi di spirito – non sarebbe equilibrato senza citare almeno anche
Buckminster Fuller, prototipo dell’umanista contemporaneo che accetta con entusiasmo le sfide della tecnologia più avanzata, senza mai perdere di vista un ideale di poeticità e sensibilità immaginativa.
Considerazione adatta per un simile approccio pare dunque essere proprio la frase che Saraceno cita nell’intervista riportata in catalogo e attribuita a
Cedric Price: “
Per fortuna noi non abbiamo problemi, ma solo opportunità”. Il consiglio, per chi si trovi a Roma, è di non perdere l’opportunità di confrontarsi con lo stimolo di un esperimento del genere.