Questa è una mostra che riporta storie di un periodo splendido della cultura umana. Parla di una riuscita campagna di negoziati internazionali e, al tempo stesso, fa presente come si possa essere ciechi davanti a grandi problematiche e influenzabili dalle peggiori “malattie dell’anima”.
Riuscire a recuperare 67 capolavori d’arte classica ed etrusca ed esporli come fosse un fatto di orgoglio nazionale (leggi “in pompa magna”) pare leggermente esagerato, considerando che sono stati proprio degli italiani (furfanti, certo) a “svenderli” a collezionisti d’oltreoceano. In secondo luogo, come fregiarsi della capacità dei nostri governanti nel farsi restituire opere dai musei americani quando è da tempo che i tesori tutto intorno al nostro quotidiano sono per lo meno bistrattati? Purtroppo, la tecnica del
panem et circenses sembra attecchire ancora, soprattutto perché supportata da un valore artistico di livello ineguagliabile.
A cominciare dalla location: la galleria di papa Alessandro VII, nell’Ala Sista del Palazzo del Quirinale, tra le mirabili pitture del 1656-1657 realizzate sotto la direzione di
Pietro da Cortona e tornate alla luce dopo quasi duecento anni. Per continuare con i musei che hanno accettato di restituire le opere (il Getty di Los Angeles, il Metropolitan New York, il Museum of Fine Arts di Boston e il Princeton University Art Musem) e per terminare con il valore delle opere stesse.
Così, a copertura di un lasso di tempo di circa sette secoli, a cavallo della nascita di Gesù, troviamo esposti
hapax (cioè pezzi privi di simili o equivalenti) come il
Trapezophoros (325-300 a.C. ca.), alcuni reperti mai esposti prima e l’opera più grande di un pittore pestano, il meraviglioso
Cratere a calice attico a figure rosse (350-340 a.C.).
Si aggiungano la stupefacente
Statua di Vibia Sabina (136 d.C.), alta 204 centimetri, effige dell’imponente moglie dell’imperatore Adriano, il
Frammento del volto di una statua d’avorio (I sec. a.C.), in esposizione all’interno di una teca dotata di igronometro e a temperatura costante di venti gradi, e l’
Antefissa con Sileno e Menadi danzanti (500-475 a.C.), gioiello assoluto d’arte etrusca. Tutti i pezzi esposti hanno una bellezza rara, intrigante e che, il più delle volte, fa muovere come pendoli tra didascalia e opera, in una sorta di danza ipnotica “imposta” dal reperto e, quando non ci si trova davanti a un
masterpiece, si può fare conto sulla secentesca bellezza degli affreschi.
Quella al Quirinale risulta dunque essere una mostra che vale assolutamente la pena visitare. Anzi, è d’obbligo sia per chi è appassionato di archeologia, sia per chi tende solamente verso avanguardistiche creazioni. Perché in questi reperti si possono trovare miti che continuano a ispirare generazioni di artisti e perché alcune forme sono perfette dalla loro creazione. Una sola la controindicazione: non si prenda come “oro colato” tutto ciò che si legge o sarà proposto. Perché, adattando un famoso
refrain, “no todo lo que es oro brilla”.