“
Definirei ‘Framed’ un lavoro ‘politico-sociologico-psicologico’, nel senso che a noi questa ricerca ha interessato soprattutto per estrapolare delle categorie femminili di cui le attrici che abbiamo preso in considerazione sono le icone. Alcune, oltretutto, sono state delle grandissime interpreti, delle vere dive”, afferma
Iaia Filiberti (Milano, 1968) parlando anche per la sua compagna d’esposizione,
Debora Hirsch (San Paolo del Brasile, 1967; vive a Milano).
Con
Framed, la Galleria VM21 torna a proporre due delle sue artiste, questa volta unite da un intento comune: “incorniciare” volti femminili defunti, smaglianti di un sorriso plastico invaghito dello star system hollywoodiano. Cento attrici in bianco e nero ri-posano in ovali di vetro appesi alle pareti della galleria, sfilando immobili e allegramente funeree, circondate da cornici di carta a diretto contatto col muro; ornamenti grigiastri di uno stilizzato rococò ironizzano sulla lapidaria forma cimiteriale che acquista l’esposizione, passando in rassegna i volti noti e meno noti di attrici americane in lista nella lunga pergamena cinematografica che va dagli anni ‘30 fino agli anni ‘50.
Con
Framed, Hirsch e Filiberti sembrano allontanarsi dalla loro predisposizione artistica; i
l video e il tratto segnico di un’individuale e caratteristica ricerca abbandonano quell’espressività che le accomuna, per annullarsi nella riproduzione fotografica di “
piccole foto in bianco e nero” che “
venivano regalate negli anni ’50 con certe confezioni di prodotti per la casa”, racchiuse in una scatola di latta, intimo regalo di Filiberti condiviso artisticamente con l’italo-brasiliana.
E se all’epoca quelle foto potevano sembrare figurine da collezione per un prezioso album di attrici-dive eterne e infallibili, con
Framed divengono una macabra raccolta fotografica di stelle cadenti, cadute e sotterrate, in memoria delle quali un video di 40 minuti nell’ultima sala ricorda la breve scia trionfale attraverso la proiezioni di stralci filmici tratti da pellicole di
Cukor,
Orson Welles,
Rossellini,
Hitchcock e altri celeberrimi registi, con cui hanno lavorato prima di fallire. Non tutte però sono state segnate da un futuro di suicidi e perdite familiari: a testimoniare la diversità dei loro destini, una didascalia bianca appare sul fermo immagine del fotogramma in questione, titolando il nome dell’attrice e un breve riassunto della fine della sua carriera, o vita.
Cosa lascia
Framed al pubblico? Primogenito della Galleria Room Arte Contemporanea di Milano nel 2008, questo progetto installativo parla di morte, di attrici defunte senza però essere mitizzate, poiché la vetta del mito non hanno fatto in tempo a raggiungerla, sfruttando loro malgrado solo quella macabra fine che contraddistingueva chi all’epoca terminava la salita.
Un’installazione fuori moda e dalle risonanze funebri. In un percorso tutto al femminile, questa volta per nulla roseo.