Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
24
aprile 2009
fino al 2.V.2009 Jessica Iapino Roma, Dora Diamanti
roma
Un grigio territorio d’incomunicabilità. Minuscoli personaggi sbozzati nel pongo. Una lotta/amplesso all’ultimo sangue. Dove vittima e carnefice si sovrappongono e l'erotismo è affermazione della vita dentro la morte...
di Lori Adragna
Sembrano strappati alla materia grezza i protagonisti del video in stop-motion e delle microambientazioni scultoree di Jessica Iapino (Roma, 1979). Sono come minuscoli Golem della leggenda talmudica legata alla creazione: embrioni umani allo stadio primordiale, antecedente il soffio divino. Dove il limo, qui divenuto pongo, indurito dall’esposizione agli elementi e sbiancato dal fuoco di passioni impraticabili – per assenza d’identità psichica e fisica dei soggetti – è simbolo di purezze superflue, senza traviamento.
Nel video, al piano inferiore della galleria, l’impianto narrativo è distorto dalla convulsiva animazione frame by frame a velocità dissimili. La scomposizione in una doppia visione filmica, afferma Micòl di Veroli, “accentua il dualismo visivo e psicologico e l’alienazione spasmodica dei personaggi”. Espressione condensata, deposito di gesti, comportamenti e pratiche che la società legittima e riconosce, il corpo – come suggerisce la ricerca di Iapino – ci appartiene solo in parte. Esposto com’è alle pressioni e agli imperativi spesso contraddittori della morale, del potere e dell’efficienza, si fa sempre più irrimediabilmente estraneo e irraggiungibile.
In una sorta di proto-Eden, un grigio territorio d’incomunicabilità, prigionieri del loro stesso rifiuto all’apertura e allo scambio (hanno il volto ostinatamente coperto dalle mani), gli interpreti, uguali e sdoppiati, si muovono sulla duplice scena senza interagire fra loro. Sono impegnati in una frenetica lotta-amplesso con un terzo elemento: un serpente dalla testa di anturio. Simbolo polivalente benefico/malefico dell’inconscio collettivo, il serpente – origine della vita e della libido, così come della demoniaca tentazione – è qui connesso al fiore, metafora dell’ermafrodito.
Assistiamo a uno scontro all’ultimo sangue, dove vittima e carnefice si sovrappongono e l’erotismo diviene affermazione della vita fin dentro la morte. Individui che isolatamente muoiono nel corso di un’avventura inintelligibile, spinti dall’ossessione di una totalità originaria; proprio la nostalgia di questa interezza, “il desiderio di un passaggio alla continuità e alla fusione, mortale, per ciascuno di due esseri distinti”, secondo Bataille, governa l’erotismo.
Stessa tematica nelle micro-ambientazioni scultoree al piano di sopra, riproposizioni all’osso dei “teatrini” bidimensionali martiniani, a loro volta rilettura di bassorilievi duecenteschi. Hide & seeck simula l’angolo di un edificio che, seppure abitato, trasuda vuoto e solitudine. In Back at your door, in Tinckerbell sigh o in Fireworks and kisses, le statuine si occultano all’interno di quinte a spirale (geometrizzazione del Creato), forate e/o incise da rose trilobate (simbolo solare e cosmico).
Questo linguaggio silenzioso dei segni, retaggio subconscio di un antico legame tra micro e macrocosmo, amplifica l’angoscia di non sentirsi più parte di una comune origine, di cui abbiamo perso ogni traccia.
Nel video, al piano inferiore della galleria, l’impianto narrativo è distorto dalla convulsiva animazione frame by frame a velocità dissimili. La scomposizione in una doppia visione filmica, afferma Micòl di Veroli, “accentua il dualismo visivo e psicologico e l’alienazione spasmodica dei personaggi”. Espressione condensata, deposito di gesti, comportamenti e pratiche che la società legittima e riconosce, il corpo – come suggerisce la ricerca di Iapino – ci appartiene solo in parte. Esposto com’è alle pressioni e agli imperativi spesso contraddittori della morale, del potere e dell’efficienza, si fa sempre più irrimediabilmente estraneo e irraggiungibile.
In una sorta di proto-Eden, un grigio territorio d’incomunicabilità, prigionieri del loro stesso rifiuto all’apertura e allo scambio (hanno il volto ostinatamente coperto dalle mani), gli interpreti, uguali e sdoppiati, si muovono sulla duplice scena senza interagire fra loro. Sono impegnati in una frenetica lotta-amplesso con un terzo elemento: un serpente dalla testa di anturio. Simbolo polivalente benefico/malefico dell’inconscio collettivo, il serpente – origine della vita e della libido, così come della demoniaca tentazione – è qui connesso al fiore, metafora dell’ermafrodito.
Assistiamo a uno scontro all’ultimo sangue, dove vittima e carnefice si sovrappongono e l’erotismo diviene affermazione della vita fin dentro la morte. Individui che isolatamente muoiono nel corso di un’avventura inintelligibile, spinti dall’ossessione di una totalità originaria; proprio la nostalgia di questa interezza, “il desiderio di un passaggio alla continuità e alla fusione, mortale, per ciascuno di due esseri distinti”, secondo Bataille, governa l’erotismo.
Stessa tematica nelle micro-ambientazioni scultoree al piano di sopra, riproposizioni all’osso dei “teatrini” bidimensionali martiniani, a loro volta rilettura di bassorilievi duecenteschi. Hide & seeck simula l’angolo di un edificio che, seppure abitato, trasuda vuoto e solitudine. In Back at your door, in Tinckerbell sigh o in Fireworks and kisses, le statuine si occultano all’interno di quinte a spirale (geometrizzazione del Creato), forate e/o incise da rose trilobate (simbolo solare e cosmico).
Questo linguaggio silenzioso dei segni, retaggio subconscio di un antico legame tra micro e macrocosmo, amplifica l’angoscia di non sentirsi più parte di una comune origine, di cui abbiamo perso ogni traccia.
articoli correlati
Iapino alle Gallinelle
lori adragna
mostra visitata il 3 aprile 2009
dal 26 marzo al 2 maggio 2009
Jessica Iapino – Loverkillerloop
a cura di Micòl Di Veroli
Dora Diamanti Arte Contemporanea
Via del Pellegrino, 60 (zona campo de’ Fiori) – 00186 Roma
Orario: da lunedì a sabato ore 15.30-19.30
Ingresso libero
Catalogo con testi critici di Micòl Di Veroli
Info: tel. +39 0668804574; info@doradiamanti.it; www.doradiamanti.it
[exibart]
Correzione didascalie: “courtesy A Bloomer Production ©”
che ha prodotto il lavoro.