Luigi Bonotto ha una faccia simpatica, è uno di quegli industriali che ci piace. Non solo ha saputo rivoluzionare l’industria tessile di famiglia trasformandola in slow factory, come lo slow food, ma ha anche messo in piedi una notevole collezione di arte contemporanea spinto da una genuina passione. E non parliamo delle solite noiose raccolte, pensate unicamente come investimento, ma di una collezione con un suo carattere molto personale, che batte i sentieri non comuni di Fluxus, di Poesia concreta e di altri fenomeni artistici degli anni sessanta e settanta. E oggi a questa collezione fa seguito anche una Fondazione, con una bella mission di valorizzazione e ricerca.
Uno dei frutti è la mostra “Sense Sound / Sound Sense”, a cura di Patrizio Peterlini e Walter Rovere, che presenta all’Auditorium di Roma un interessante nucleo di lavori a tema musicale di artisti Fluxus e Zaj.
Il cuore della mostra è la raccolta di partiture, di cui si possono ascoltare i risultati in registrazioni d’epoca, attraverso le quali gli artisti – non necessariamente musicisti – scardinavano violentemente le regole più basilari della musica classica, come ad esempio i metodi e i codici da sempre usati per annotare la musica: dal popolarissimo 4’33” di John Cage, alle composizioni per meloni picchiettati o lasciati cadere di Ken Friedman; dall’invito poetico (e, diciamolo, un poco banale) di Yoko Ono ad ascoltare il suono della Terra che ruota, ai deliri quasi orografici con i quali Yoshimasa Wada riempiva gli spartiti, molti artisti sostituirono alle note musicali e ai pentagrammi bizzarre istruzioni, poesie, forme astratte e grafiche o immagini. Tutti materiali che vennero meticolosamente raccolti proprio da Cage e da Alison Knowles nel 1969, in quel Notations che ha suggerito la prima idea per questa mostra.
A questo contesto – ovvero la trasmutazione degli spartiti in arti visive – appartengono anche le tele dei Sette quartetti. L’oublie de Métamorphoses di Gianni Emilio Simonetti, stampati appositamente da Bonotto ed esposti nel foyer dell’Auditorium.
Oltre a partiture e notazioni, è possibile ammirare una carrellata di opere di artisti di Fluxus, apparentemente disposte senza seguire un filo logico: gli strumenti improbabili di Joe Jones, copertine di dischi, fotografie e vari memorabilia e residuati di performance storiche. Non poco spazio hanno anche gli italiani come Giuseppe Chiari o Walter Marchetti, fondatore di Zaj. E c’è persino una piccola batteria di Claes Oldenburg.
Di fronte a una collezione così interessante e raffinata, però, fanno rabbia alcune macroscopiche, evitabilissime, sciatterie nell’allestimento: l’assenza di molte didascalie ha reso difficile la lettura di una parte della mostra, mentre è stato impossibile utilizzare alcuni tablet con video (fondamentali, vista l’alta percentuale di performance di Fluxus) che per essere ricaricati erano stati rimossi dalla loro sede espositiva.
Mario Finazzi
mostra visitata il 23 Maggio
Dal 6 maggio al 2 luglio 2016
Sense Sound / Sound Sense. Fluxus music, scores and records in the Luigi Bonotto Collection
AuditoriumArte – Auditorium Parco della Musica
Via Pietro de Coubertin, 30 Roma
Orari: dalle 11:00 alle 20:00
Info: www.auditorium.com