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15
ottobre 2008
fino al 2.XI.2008 Jeff Wall Roma, Lorcan O’Neill
roma
Alle volte un grande nome non basta per salvare una mostra mal allestita. Quando poi anche le opere in sé non sono propriamente memorabili, il giudizio ne risulta compromesso. Il deludente Wall capitolino, fra lightbox spente e cartoline sicule...
di Luca Arnaudo
In generale, Jeff Wall (Vancouver, 1946) è uno dei grandi nomi della fotografia contemporanea, pioniere nell’uso dei lightbox e, soprattutto, maestro nella definizione di immagini artefatte, sospese tra cinema e documentario, dove un colto citazionismo si combina a una poderosa inquietudine visiva, che ha finito per fare scuola, salvo trovare pochi allievi effettivamente in grado di reggere il modello (tra questi, anche perché di recente visto a Roma in una pregevole personale a Roma, ci piace ricordare Nigel Bennett). Altri articoli di questa rivista hanno studiato con dovizia l’opera complessiva di Wall; a essi, dunque, si rimanda per ulteriori considerazioni.
Nello specifico della mostra attualmente in corso nella Capitale, le impressioni possono invece condensarsi in una semplice esclamazione: che peccato. Forse la delusione è l’effetto di aspettative eccessive dovute all’ammirazione per l’artista, ma non ci sembra di essere inclementi nel ritenere che la maggior parte delle opere esposte, già poco memorabili in sé, siano per di più pesantemente pregiudicate dall’allestimento.
Per cominciare, i tre lightbox a sfondo romano – due dei quali rilegati in una risega, il terzo addirittura nell’ufficio della galleria – paiono lontani anni luce dalle fatiscenti sontuosità immaginali che hanno reso celebre Wall (qui la memoria visiva va a capolavori di messinscene stradali come mimic, milk o, ancora, passerby) e appiattiti su un trito immaginario da straniero medio in visita alle italiche e sporche macerie. L’arto fasciato di rosa che riempie una bottiglia di plastica verde in una cartolinistica fontanella di travertino fa insomma pensare più che altro a una copia sbiadita dei ritratti di vita turistica capitolina eseguiti da Martin Parr, ma senza l’affilata cattiveria di questi.
Complice la disposizione dello spazio espositivo, il colore illuminato delle opere appena citate finisce poi per sabotare irrimediabilmente anche la visione delle fotografie in bianco e nero presenti in mostra, tra le quali spicca l’enorme (258×317 centimentri) veduta di una brulla collina siciliana, evidente prodotto della più recente passione dichiarata di Wall per la foto di paesaggio. Si tratta di un’opera importante, dove la terra incombente rispetto alla soprastante striscia di cielo satura la visione, formulando una tesi esteticamente convincente circa i rapporti compositivi dell’immagine.
Proprio in ragione di tale rilevanza per così dire teorica, nondimeno, lascia a dir poco perplessi la notazione che si legge nel foglio espositivo, dove la fotografia pare ridotta a una pubblicità da agenzia di viaggi sicula con il richiamo al “ritorno a una primordiale quiete che in qualche modo solo una terra antica e culturalmente ricca come la Sicilia può evocare”.
La preghiera, in conclusione, è che ci si risparmi in futuro altre dolorose delusioni del genere. O, almeno, le si confezioni un po’ meglio.
Nello specifico della mostra attualmente in corso nella Capitale, le impressioni possono invece condensarsi in una semplice esclamazione: che peccato. Forse la delusione è l’effetto di aspettative eccessive dovute all’ammirazione per l’artista, ma non ci sembra di essere inclementi nel ritenere che la maggior parte delle opere esposte, già poco memorabili in sé, siano per di più pesantemente pregiudicate dall’allestimento.
Per cominciare, i tre lightbox a sfondo romano – due dei quali rilegati in una risega, il terzo addirittura nell’ufficio della galleria – paiono lontani anni luce dalle fatiscenti sontuosità immaginali che hanno reso celebre Wall (qui la memoria visiva va a capolavori di messinscene stradali come mimic, milk o, ancora, passerby) e appiattiti su un trito immaginario da straniero medio in visita alle italiche e sporche macerie. L’arto fasciato di rosa che riempie una bottiglia di plastica verde in una cartolinistica fontanella di travertino fa insomma pensare più che altro a una copia sbiadita dei ritratti di vita turistica capitolina eseguiti da Martin Parr, ma senza l’affilata cattiveria di questi.
Complice la disposizione dello spazio espositivo, il colore illuminato delle opere appena citate finisce poi per sabotare irrimediabilmente anche la visione delle fotografie in bianco e nero presenti in mostra, tra le quali spicca l’enorme (258×317 centimentri) veduta di una brulla collina siciliana, evidente prodotto della più recente passione dichiarata di Wall per la foto di paesaggio. Si tratta di un’opera importante, dove la terra incombente rispetto alla soprastante striscia di cielo satura la visione, formulando una tesi esteticamente convincente circa i rapporti compositivi dell’immagine.
Proprio in ragione di tale rilevanza per così dire teorica, nondimeno, lascia a dir poco perplessi la notazione che si legge nel foglio espositivo, dove la fotografia pare ridotta a una pubblicità da agenzia di viaggi sicula con il richiamo al “ritorno a una primordiale quiete che in qualche modo solo una terra antica e culturalmente ricca come la Sicilia può evocare”.
La preghiera, in conclusione, è che ci si risparmi in futuro altre dolorose delusioni del genere. O, almeno, le si confezioni un po’ meglio.
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Jeff Wall – Photographs
Galleria Lorcan O’Neill
Via degli Orti d’Alibert, 1/e (zona Trastevere) – 00165 Roma
Orario: da lunedì a venerdì ore 12-20; sabato ore 14-20
Ingresso libero
Info: tel. +39 0668892980; fax +39 066838832; mail@lorcanoneill.com; www.lorcanoneill.com
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