Con la Banco Ottico 20×25 montata su un cavalletto di sei metri fatto con tubi di carbonio (e con l’ausilio dei suoi assistenti) Massimo Vitali (Como 1944; vive a Lucca) in quest’ultimo progetto ha puntato l’obiettivo sulle spiagge newyorkesi, rigogliose di un panorama umano più che mai variegato. Bambini con secchiello e paletta, bandiere stelle e strisce, sdraie e ombrelloni, tavole da surf, rivenditori di shrimp&chicken, cotton candy e soda&beer. E poi edifici in costruzione, sabbia chiara e mare increspato. Eccolo l’universo di Coney Island, a mezzora di train da Manhattan centro.
Non c’è disincanto -ma neanche ironia- nei suoi “sandwich di plexiglas”, solo un interesse per l’aspetto sociologico. “Penso che il mio sguardo sia molto distaccato, ma partecipe. Non credo che sia come quello di Martin Parr, che è critico e ‘cattivo’. Le mie foto sono più esterne, forse più ambigue, ma non c’è una presa di posizione”.
Un lavoro piuttosto difficile, questo americano, soprattutto per via della burocrazia (dai permessi per fotografare a quelli per muoversi e parcheggiare l’automobile), durato tre settimane nell’estate 2006 sulle spiagge di Long Island, John’s Beach, Coney Island e negli Hamptons. “Ho trovato situazioni molto interessanti dal punto di vista sociologico. Andando su verso le spiagge newyorkesi la situazione era sempre più rarefatta, i tatuaggi diminuivano…”, spiega. “Sì, perché c’è gente che ha 40.000 dollari di tatuaggi addosso. A Coney Island c’era una signorina che dal bacino in giù aveva il corpo completamente tatuato con scaglie da sirena.
Purtroppo non sono riuscito a fotografarla perché é passata velocissima ed io ero completamente basito. Andando più su, invece, la gente mette i soldi più nelle tette finte. C’è più investimento in impegni meno durevoli rispetto ai tatuaggi.”
Negli anni Novanta, dopo aver messo da parte il reportage, il lavoro per cinema, televisione e pubblicità, Vitali ha concepito le sue quotatissime immagini-oggetto, che non hanno cornice ma sono inserite tra due lastre di plexiglas. Nelle sale della galleria romana sono in tutto sette i lavori, dal forte potere ipnotico, complici le grandi dimensioni e le dominanti cromatiche basate su toni alti e abbacinanti. “Odio le ombre scure. La mia è una reazione al modo normale di fare le fotografie. Quello che cerco di fare sono immagini che hanno grande estensione, ma che sono su toni alti. Sono più piacevoli e i colori escono con maggior forza. Diciamo che ho leggermente abbellito un concetto molto ruvido, perché le mie fotografie in realtà sono ruvide. Non ci sono belle inquadrature.”
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