Storia di una cupola, quella della Basilica di Loreto e delle sue due decorazioni, raccontata attraverso i disegni preparatori, schizzi e bozzetti dei due protagonisti della medesima impresa: quasi tre secoli separano il primo ciclo, quello che Cristoforo Roncalli detto il Pomarancio realizzò intorno al 1609, dagli affreschi di Cesare Maccari (1888 – 1907) che andarono a sostituire gli originali in parte irrimediabilmente danneggiati, in parte staccati secondo le teorie di conservazione più accreditate sul finire dell’Ottocento.
La mostra, allestita nello spazio dell’ex Chiesa delle Zitelle, propone un percorso che ha il sapore di un dietro le quinte che accompagna il visitatore nel frazionarsi della fase di ideazione e progettazione, in cui le immagini della mente si trasferiscono su decine di fogli, in cui la posizione di un corpo può modificarsi, variare nel tempo che separa un disegno dall’altro, fino ai bozzetti definitivi, dove – in misura ridotta e con ancora possibilità di cambiare qualche dettaglio – tutto è stato fissato e l’insieme è compiuto.
Utilizzava per lo più la sanguigna, Pomarancio (1552/53 – 1626) sfumando le ombre in passaggi morbidissimi. Sono pochi i segni continui, le linee tracciate quasi solo per seguire il flettersi di un braccio, di una voluta, il movimento delle dita di una mano, poi il definirsi (o l’indefinirsi?) di volti, degli sguardi, dei corpi torniti è lasciato al chiaroscuro rossiccio, o alle parti imbevute di luce. Ed è la stessa luce che doveva sprigionarsi dalla cupola, non concepita come uno sfondato, ma come un interno a lacunari, dorato, che guardava all’antico e contemporaneamente era l’illusione su cui appoggiare la costruzione affrescata di lembi di nuvole, angeli, santi in gloria.
È l’Immacolata Concezione il tema degli affreschi che impegneranno Cesare Maccari (1840 – 1919) per quasi un ventennio. Imbrigliato in una solida definizione di spazi, dosato in un’ineccepibile macchina di simboli e rimandi il dogma diventerà una sorta di gran parata, un’architettura effimera, da cui fanno capolino una miriade di angeli. Nei disegni la Luce della Grazia è una lumeggiatura bianca, che accarezza appena i loro volti, dove si reitera un’unica fisionomia.
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