Tutti noi abbiamo presente come l’opera di Bernini lavori sull’immaginario. La persuasione a cui sottopone ci riversa nell’altezza di estatiche bellezze. I suoi marmi prossimi allo scioglimento, così simili a ceri sacri, le luci scolpite nel bronzo, gli interventi architettonici, le fontane. Insomma, le scenografie che celebravano il fasto della cristianità di Roma, di Maffeo Barberini diventato Urbano VIII (di cui si potrà vedere il ritratto nella seconda sala), che accolse Gian Lorenzo venticinquenne e non ancora al culmine della fama, oppure di Alessandro VII, per citare alcuni committenti.
Gian Lorenzo Bernini (Napoli, 1598 – Roma, 1680) diventerà una delle figure centrali nell’arte del Seicento. Di sicuro fra i più noti e potenti ingegni del Barocco europeo. Ma se l’arte pubblica di Bernini, perlopiù incentrata sulla scultura, sull’architettura e sulla creazione di apparati riflette una visione dell’arte come inganno volto allo stupore dello sguardo, la sua pittura appare intima e riservata, senza effetto scenico, a testimonianza di un impegno non ufficiale determinato solo dall’amore e dall’eclettismo del suo talento.
Bernini si rivela moderno anche con il pennello, capace di delineare la dettagliata psicologia del personaggio con un tocco essenziale, in cui vaghezza e precisione si mescolano insieme in un fascino dal forte impatto, capace di competere con
Velázquez o
Rembrandt. Sia gli autoritratti (genere centrale nella pittura del maestro) che i ritratti (cospicuo corpus della sua produzione) rivelano con immediatezza l’animo dei soggetti, spogliandoli della loro funzione sociale e rivelando così anche le inquietudini e le incertezze di un’epoca tutta giocata sul fascino dei contrasti.
Ad ampliare la cognizione del suo operato, non mancano i bellissimi quadri dedicati ai soggetti sacri: da segnalare il toccante
Cristo deriso avvolto in sanguigni panneggi e descritto con impietosa drammaticità. Non manca nemmeno una buona scelta di disegni, che comprende lavori autonomi e studi finalizzati a elaborazioni pittoriche. Non mancano, infine, dipinti progettati o ispirati da Bernini, di cui però non fu l’esecutore. Nella sua esiguità quindi, non ci troviamo di fronte a un’opera minore, ma al giusto retroscena di un sapiente artista, eccellente nella qualità anche nella pittura.
Mettere in discussione la presunta inferiorità del pittore rispetto allo scultore e all’architetto è l’intento del curatore, Tomaso Montanari, per un’esposizione che si snoda nelle sale del secondo piano appena restaurato di Palazzo Barberini, ultimato dopo la morte del
Maderno dallo stesso Gian Lorenzo. Una mostra ben calibrata, che distribuisce il poco materiale a disposizione con precise considerazioni critiche, che orientano la giusta collocazione storica delle opere. Un po’ tedioso l’allestimento, su pannelli grigi che aggiungono una nota di colore per niente neutra, ma scomposta rispetto alle atmosfere emanate dai quadri e dalle sale del palazzo.