Dai quadri come dalla
documentazione in mostra, Vincent van
Gogh (Groot Zundert, 1853 – Auvers-sur-Oise, 1890) ci si presenta non più
come un folle istintivo, ma come un genio del sentirsi e del sentire, un uomo
colto e bisognoso di una realizzazione vera e totale. Scoperte, incontri,
esperienze devono essere provate profondamente, siano esse espressione del
creato divino o prodotti dell’uomo, visto che “i libri, la realtà e l’arte sono lo stesso genere di cose per me”.
Si fonda probabilmente su
questa idea anche il ricorso ad altri modelli pittorici, come Millet, suo maestro nel ritrarre il
mondo rurale e capace di generare in lui, spettatore, una sensazione di “buono”
e di consolazione, che lo riportava alla campagna olandese. Alla mitizzazione
onirica del francese (I raccoglitori di
fieno) subentra però una teatralità interessata, più vicina a Toulouse-Lautrec; allo sfumato delle
forme e del colore, una riduzione geometrica quasi cezanniana delle figure
umane, che riassumono con la meccanicità della postura e altri pochi indizi il
lavoro di una vita (La semina delle
patate).
La tela si oscura poi
caravaggescamente nei ritratti di contadini simili a operai di una rivoluzione
industriale che incominciava allora a interessare le campagne, incorniciando il
paesaggio e i quadri con profili di ciminiere.
Città e campagna trapassano l’una nell’altra, in un continuum della periferia parigina con orti e campi che appaiono
come distese scompigliate di vegetazione assolata (Orti a Montmartre). Trionfa qui l’esempio divisionista, con un
potenziamento della resa atmosferica e dell’animazione della tela. A questi si
aggiunge la serenità spirituale de Il
ponte sulla Senna ad Asnières, dove una luce quasi marina del nord e l’uso
di un rosa non stemperato richiamano le opere di Guillaumin, mentre raggi di luce quasi impercettibili sembrano
comunicare fra il cielo e la terra.
La pennellata si fa via via più ondulata, per tracciare il contorno di una
realtà troppo vibrante per stare nelle forme, stregata come i rami e i tronchi
degli ulivi o le cime dei cipressi, simili a ‘C’ inanellate fra loro, allungate
verso l’alto come volute di fumo denso e colorato (Cipressi con due figure
femminili). E
spettrali sono anche le dame, che in coppie ricorrenti percorrono giardini
atopici: il turbamento dell’artista passa attraverso la loro indefinitezza
rispetto alla familiare robustezza delle contadine.
Ma le prospettive sbilanciate, i piani sfasati, i colori innaturali e acidi
sbloccano la sofferenza dell’inadeguatezza sociale, dell’incomprensione del
reale; ciò che conta è il realismo del sentire e con l’arte ritrasmetterlo. In una
parola, Espressionismo.
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Van
Gogh a Brescia
anita fumagalli
mostra visitata il 23 ottobre 2010
dal 7 ottobre 2010 al 20 febbraio
2011
Vincent van Gogh – Campagna senza
tempo. Città moderna
a cura di Cornelia Homburg
Complesso del Vittoriano
Via di San Pietro in Carcere (zona Fori Imperiali) – 00186 Roma
Orario: da lunedì a giovedì ore 9.30-19.30; venerdì e
sabato ore 9.30-23.30; domenica ore 9.30-20.30 (lla biglietteria chiude un’ora
prima)
Ingresso: intero € 10; ridotto
€ 7,50
Catalogo Skira, € 35
Info: tel. +39 066780664; museovittoriano@tiscali.it
[exibart]
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Van Gogh è amico di Massimo De Carlo , tipologia d'artista Ikea tipo Padiglione italiano di Beatrice.
Caro Luca Rossi,
non mi sembra che conti molto essere amici di De Carlo. Guarda la coppia Frosi-Perrone (quest'ultimo amico di De Carlo e il primo amico di Paolo Zani di Zero) che si sono messi a fare un gran tour per la provincia italiana alla ricerca di espressioni artistiche genuine da riproporre in quella Milano che è oggi più provinciale della provincia italiana. In tempi non sospetti Cattelan ha fatto De Carlo ma non mi sembra che De Carlo abbia fatto scintille con altri artisti amici (Perrone, Pivi, Berti, Bartolini). Queste promesse degli anni '90 hanno raccolto le briciole di un secolo saturo come il 1900 e del suo ultimo colpo di coda (anni '90). Non hanno proposto quello scarto linguistico che gli avrebbe potuti salvare da un calderone di artisti internazionali meglio supportati di loro. La cosa va anche bene, però dovremo allora rivedere cosa si intenda per arte contemporanea e per artista oggi nel 2010.
Il Padiglione Italia di Luca Beatrice poteva essere legittimamente la sezione ART dell'Ikea (l'unico forte e consapevole di questao era Gian Marco Montesano). Ma l'ikea evoluta si insinua anche in quello che consideriamo il "migliore" sistema dell'arte contemporanea italiano. Guarda in questo video i mobili musicali di Massimo Bartolini:
http://tv.exibart.com/news/2008_lay_notizia_02.php?id_cat=78&id_news=6480&filter=cerca&page_elenco=1
Curioso che Massimo Tartaglia anni fà cercò di commercializzare dei quadri musicali, anch'essi perfetti per la sezione ART dell'Ikea.