L’energia
vibrante dei colori, un soffio d’entusiasmo nel delirio di un’epoca difficile,
contraddittoria. La corsa alla globalizzazione, la paura del diverso, la parola
“libertà” tra utopia, messinscena e conquista. Questi i punti cardinali, pagine
della storia di oggi, nella battaglia contro il tempo, giorno dopo giorno.
L’arte
può – e deve – farsi portavoce di un messaggio diretto, che accarezzi il cuore
e stimoli la mente. Un concetto che appartiene alla poetica di
Emilio
Leofreddi (Roma, 1958), dichiarato
con freschezza in
Il respiro del mondo. La mostra al Vittoriano, promossa da Fabio Falsaperla e Nicoletta
Maria Gargari, è la prima tappa di un percorso che proseguirà nella galleria
romana La Nuvola.
L’energia
si nutre di sinergie per Leofreddi. La curatrice Barbara Tosi parla di “
allegria
creativa” che “
si espande in
modo epidemico”, coinvolgendo
altri artisti, con alcuni dei quali l’amicizia è di lunga data, come
Vito
Ceo,
Paolo Brunatto e
Tonj Acquaviva, che proprio in occasione dell’opening presenta
brani del nuovo album
Millennium Klima, reinterpretati da Stradabanda e accompagnati dalla performance di
Costantino
Pucci.
Una
sorta di “
accampamento globale”,
quindi, dove lo spettatore è invitato a scrivere su post it (che lascerà nel
box di perspex) il nome del personaggio più rappresentativo dell’Europa e
dell’America del Sud: John Lennon, Lula, Bruce Chatwin, Erri De Luca? Per il
momento, infatti, sono stati raffigurati solo quattro continenti sulle tende
canadesi di tela indiana, esposte su una parete in tutta la loro affascinante
tridimensionalità: Africa-Mandela, America del nord-Luther King, Asia-Gandhi,
Oceania-l’Aborigeno.
Fil
rouge di questi lavori, e anche delle altre tele quadrate, la frase “
come up
with full inhalation”. L’incipit è
un respiro profondo che tocca il diaframma – liberando le emozioni – come
indica la sequenza del “saluto al sole” nella pratica yoga. Questo respiro è
anche un’esortazione a guardarsi dentro, a dare un senso alla vita.
Parecchi
i riferimenti all’India, alla sua cultura millenaria, alla filosofia del
quotidiano della sua gente. Del resto è a Goa che l’artista ha scoperto, mentre
lavorava al progetto
Dreams,
durante l’ultimo lungo soggiorno, le potenzialità di questo materiale che non
aveva mai usato.
La
prima opera,
Tenda Ghandi (2005), è un cuore-India che pulsa, dipinto a mano, con una scritta in
sanscrito. A Roma l’idea ha sviluppato la sua “anima occidentale”, sostituendo
la pittura con la stampa e trovando altri referenti iconografici, come la
mongolfiera, a simboleggiare il volo ideale.
Volo,
sinonimo di viaggio: il bisogno o necessità di muoversi, lasciarsi alle spalle
il passato e trovare stimoli per il futuro. È stato così anche per Leofreddi
quando, nel 1977, finito il liceo partiva per la Grecia, con la compagna di
allora e 300 dollari in tasca. Da lì a Istanbul, terminal dei “magic bus” per
l’Afghanistan, proseguendo da solo – bus dopo bus – fino a Peshawar e poi a
Delhi, dove rimase otto mesi.
Era
la sua prima volta in India: un amore destinato a rigenerarsi nel tempo.