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Relativamente poco conosciuto fino a pochi anni fa, il trentanovenne Josh Smith (nasce nel 1976 a Okinawa, in Giappone, ma cresce nel Tennessee e risiede a New York), ormai diventato il beniamino della scena artistica newyorkese, espone per la prima volta in un museo italiano, il Macro, il suo lavoro pittorico. Che è eccessivo e barocco riempiendo, in una sorta di felice “horror vacui” che ricorda le quadrerie rinascimentali, i due padiglioni dell’ex mattatoio romano.
L’artista, strettamente vegano, con il suo lavoro vitale ha colto la sfida di misurarsi con l’energia di morte che ancora trasuda da quelle mura in cui per decenni sono stati uccisi migliaia di animali da carne che rifornivano le macellerie della capitale. In otto giorni di lavoro installativo “matto e disperatissimo”, Josh Smith ha trasformato gli spazi espositivi in una festa degli occhi grazie ai contrasti cromatici eccezionalmente ben resi da una pittura gestuale, veloce e furibonda che ben si inserisce in quel fortunato filone dell’Action Painting made in U.S.A. che da Willem De Kooning e Jackson Pollock arriva fino a Philip Guston, Keith Haring e Jean-Michel Basquiat.
La mostra documenta quasi tutte le fasi dello sviluppo del suo lavoro dal 2003, anno della sua prima personale, ad oggi, esibendo una pittura «liquida e mutevole, determinata dal particolare modo di lavorare dell’artista legato ad una produzione estremamente prolifica, dal ritmo incessante», scrive Ludovico Pratesi, curatore della mostra, nel catalogo Pensare in pittura. Si comincia con i famosi Name Paintings, dei primi anni Duemila, in cui l’artista usa le lettere del nome J-O-S-H S-M-I-T-H come elementi decorativi che riempiono la superficie della tela, le pennellate sono frenetiche e le lettere talvolta appaiono sovrapposte una sull’altra, facendo sembrare le opere una via di mezzo fra i tag di un vandalico e brutale writer di strada e le geniali sperimentazioni pittoriche degli espressionisti americani e dei grandi maestri europei come Picasso e Kirchner.
Il corpus del lavoro di Josh Smith è incredibilmente variato e negli anni si è arricchito di figure come palme, scheletri, tramonti e pesci schizzati su tela o carta realizzati sempre con quel gesto febbrile che è la sua cifra distintiva. I rifiuti e le tracce dei lavori precedenti diventano così gli attivatori di nuove opere, i Palette Paintings, come se i gesti compiuti in studio si sedimentassero in maniera ancora più libera e casuale in questa serie. Negli Abstract Paintings, l’artista torna ad utilizzare le lettere del suo nome trasformandole in linee e macchie di colore usando come supporto il cartone in una riflessione sul concetto di lavoro seriale e autorialità dell’opera. I Collages sono una ideale continuazione dei Palettes Paintings in quanto inglobano nella pittura i frammenti di vita, mai nulla di strettamente personale sottolinea l’artista, che si stratificano in studio: ritagli di giornale, biglietti dei mezzi pubblici, menu di ristoranti e talvolta anche le locandine delle sue vecchie mostre in un flusso ininterrotto di produzione artistica quasi debordante. Gli ultimi lavori sono gli Stage Sculptures, strutture decisamente minimali in legno e tela, che ricordano dei palcoscenici portatili o, meglio, dei piccoli set fotografici che nella mostra al Macro Testaccio punteggiano lo spazio come presenze decisamente enigmatiche (qualcuno ignaro ci è anche salito sopra).
Oltre a disseminare i due padiglioni di sgabelli, nel suo furore creativo l’artista ha trasformato anche le casse che sono servite a portare a Roma le 140 opere, i 130 disegni e i due video che riempiono gli spazi museali in altrettante opere come se per Josh Smith la pittura fosse un irrefrenabile e vitalissimo tsunami che travolge ogni cosa e che lui riattiva con energia diversa.
Paola Ugolini
mostra visitata il 4 giugno
Dal 5 giugno al 20 settembre 2015
Josh Smith
Macro Testaccio – Piazza Orazio Giustiniani, 4 – Roma
Orari: da martedì a domenica ore 16.00-22.00