Nelle intenzioni della mostra non è annunciato. E il risultato può (forse) essere squisitamente fortuito: quelle strane coincidenze che riescono, però, a dare ottimi e inaspettati risultati. È quello che è accaduto nei due spazi della galleria romana con la doppia personale di Ursula Franco (Grosseto 1966, vive a Roma) e Laura Palmieri (Napoli 1967, vive a Roma). Nonostante le due artiste abbiano lavorato in maniera autonoma, è pressoché inevitabile il tentativo di dare una lettura unitaria dei loro interventi. E così, nell’abituale gioco delle associazioni di idee, ecco che anche i titoli si fondono: Cara mamma sono in trattativa per comprare una casa a New York ed andarmene là … e L’unità dell’ipocrisia, rispettivamente della Franco e della Palmieri. Ovviamente si tratta di una lettura eseguita tenendo sempre ben presente la profonda differenza delle ricerche portate avanti dalle due artiste. E differenti sono anche i media utilizzati: installazione l’una e tele la seconda. Ovvero parole e immagini.
Continuando il gioco delle associazioni, gli allegri quadretti della felice famigliola americana (della Palmieri), sembrano trovare la parola negli asciutti slogan in tessuto (della Franco). Utilizzando nuovamente l’installazione (dopo alcune brillanti sortite nella fotografia e nel video), Ursula Franco ripropone i suoi duri e provocatori slogan attraverso una precisa decostruzione analitica. E Mr. Israel Goldman (alter ego creato dall’artista stessa) prosegue il suo peregrinare per il mondo con le sue riflessioni e considerazioni su ciò che accade intorno a lui, continuando a “indossare la storia” e ad essere, in questo modo, la Memoria di uno tra i più grandi drammi della storia, la shoah. Ogni motto, che si sposta dal significato e al significante, è realizzato con sagome di legno imbottite e ricoperte di tessuti e colori diversi, dando assoluta importanza al tema piuttosto che alla materia.
E ciascuno mantiene la propria forza, anche se aggregato agli altri. LIBERTE’ è la scritta che accoglie il visitatore, e vuole ricordare una frase di Ronald Reagan (“quando la gente è libera di scegliere, la gente sceglie la libertà”) nonché gli anni della rivoluzione francese che seminarono libertà e democrazia in Europa. SAVED, come racconta l’artista stessa, “si riferisce a quei paesi i cui regimi minacciavano la sicurezza internazionale e che attraverso il processo di democratizzazione sono stati liberati dai loro dittatori e data la possibilità di libere elezioni”. FUCKIN’ TEOCRACY è un omaggio all’Iran degli Ayatollah, mentre la parola BUSH viene adottata nell’accezione di bussola–meccanica. Il tutto sembra suggerire che solo mandando al diavolo la teocrazia, ci si può salvare, si può ritrovare una rotta per raggiungere la libertà.
Due coppie di fotografie in bianco e nero, riportate su tela di formati diversi e poi dipinte, sono invece le opere della Palmieri. Una sorta di horror vacui porta l’artista a riempire vuoti e assenze che qui vengono colmati con i colori accesi delle bandiere di due Paesi, la Mongolia e il Kiribati, scelte per motivi squisitamente estetici. Colori che, nello stesso momento operano però anche una cancellazione dell’immagine stessa. Bandiere che, nello specifico contesto, assumono quindi un valore di icona della cultura che è “alle spalle” dei personaggi. Un vuoto riempito di un altro significato.
daniela trincia
mostra visitata il 4 maggio 2006
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