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fino al 20.VI.2002 | La fotografia contemporanea latinoamericana da New York a Santiago del Cile | Roma, IILA

di - 14 Giugno 2002

C’è scritto El Paraiso sull’insegna e sul cartello. Dietro ci trovi una baracca, irrimediabilmente più che povera o una distesa che fino all’orizzonte appare coerentemente disabitata, qualche volta c’è solo il cielo, come fosse una lastra azzurra lasciata a mo’ di quinta: ovunque la freccia continua a puntare verso il paradiso retrostante, serafica, chiara – come deve essere un’indicazione stradale – mentre l’immagine piano piano si scolla dalla riproduzione fedele della realtà, slitta tra le pieghe della contraddizione, interroga lo spettatore con ironia, si tinge di un tono elegiaco.
Fotografa Paradisi, Manuel Rothschild (Buenos Aires 1963, vive e lavora a Berlino), per trovarli semplicemente si attiene alle indicazioni: la premessa probabilmente è che non ci sia inganno nelle diciture, allora dove si legge El Paraiso non ci sono fraintendimenti, quel luogo è un paradiso, uno dei tanti possibili, forse una possibile rappresentazione di quell’uno incommensurabile.
Si tinge di paradosso, ma non rischia di impantanarsi nel non sense, questa collezione – in mostra ci sono due grandi fotografie, ma si tratta di una serie che coinvolge anche gli oggetti, purché abbiano il fatidico nome – di fatto assurda, ma costruita con una linearità esemplare: non s’insinuano questioni care alla filosofia medievale che iniziano col dubbio e finiscono inesorabilmente nell’astrazione, le immagini resistono in equilibrio su un filo sottile di spiazzamento e contemplazione.
Una collezione di fantasmi scrive Antonio Arévalo curatore della mostra (che fa parte degli eventi di FotoGrafia I festival di Roma), nel testo che introduce e guida attraverso l’allestimento: una successione – ma quasi simultanea – di tante diversissime apparizioni, come tracce della realtà, della vita, dei cambiamenti dell’America Latina, soprattutto dell’indescrivibile, del sommerso, di quanto per immagini più che rendere si materializza. Ed è una selezione varia, che sceglie tra temi, tecniche, situazioni, da Andres Serrano (New York, 1950) – che non ci sembra bisognoso di presentazioni – al gioco di fili tra due mani di una Parca invisibile di Matilde Marin ( Buenos Aires, 1948), al dramma degli scomparsi nel crudo bianco e nero di Milagros de la Torre (Lima 1965), o nei colori acidi e nei contorni sfocati dei tanti volti della pesca miracolosa rappresentata dal giovanissimo Carlos Motta (Bogotà 1978).
C’è un video del 1977 di Antonio Manuel (Avelas de Camihno, 1947) che è una somma di foto, come una continua tragica memoria e ci sono le parole su sei cuscini di velluto, che descrivono l’assenza delle immagini (l’opera è di Rosangela Rennò), c’è una giovane donna con i pantaloni sporchi di sangue mestruale (foto di Priscilla Monge, che ha partecipato all’ultima edizione della Biennale di Venezia), un’altra, di cui non vediamo il volto, ma vediamo benissimo gli abiti griffati, che porta con sé una borsa – cadavere fatta con un agnellino (è il lavoro stampato su PVC di Caterina Purdy), mentre altre ancora – sono quelle di Maria Magdalena Campos-Pons (Cuba 1959) – hanno il passato, le origini e l’amara profezia del futuro sulla pelle, come una cicatrice. Nelle immagini di Juan Lealruiz (Bogotà, 1965) il retro dei TIR ingrandito cancella la strada, diventa un incastro geometrico, una sezione aurea applicata alla contemporaneità; solo una mano e un piede sono il soggetto dell’opera Un Alma di Marta Maria Perez Bravo (Cuba, 1959): forme allungate, scarnificate, intense. Le dita le ha fatte diventare candele.

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www.fotografia.festivalroma.org, il sito ufficiale della manifestazione, con programmi, testi e immagini

maria cristina bastante


galleria dell’Istituto Italo Latino Americano, vicolo dei catinari 3, 06684921, lun_sab 11-19, ingresso gratuito, catalogo della mostra in galleria, catalogo di FotoGrafia I festival Internazionale di Roma edizione Bruno Mondadori 25 euro

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