Le parole pronunciate da George W. Bush durante le due conferenze pubbliche sul Protocollo di Kyoto risuonano come leitmotiv della mostra. I suoi discorsi assumono per
Marisa Albanese un doppio piano di valenza significativa. Una valenza sia contingente sulle raccapriccianti conseguenze ambientali e sul palpabile degrado terrestre, sia concettuale sul vuoto di senso che tali parole hanno lasciato nella testa dei più.
Point of you testimonia proprio questa frammentarietà lessicale e di contenuto. Le parole marchiate in nero sulla corteccia argentata di un albero spoglio e secco sembrano scritte alla rinfusa, senza un ordine e una logica. Ma il loro disegno risulta orchestrato proprio dalle parole che il Presidente statunitense pronunciò l’11 giugno 2001 e il 28 settembre 2007.
Ampi spazi vuoti inframmezzano le scritte, vuoti fisici ma anche concettuali. Risulta inquietante capire, in questo modo, l’equilibrio che intercorre tra il piano generale di incomprensibilità con cui Bush ha voluto confondere le idee dei suoi interlocutori e quest’opera, suo referente artistico e materializzazione effettiva della potenza persuasiva delle parole. L’arbitrarietà con cui esse possono essere lette e guardate corrisponde alla stessa sensazione di incertezza politica che tali discorsi assunsero e assumono tuttora.
Di manipolazione prodotta dal linguaggio ne sa qualcosa
Francesco Vezzoli con il suo
Democrazy, baluardo durante la 52esima Biennale di Venezia del carattere subdolamente suadente delle massime cariche americane. Il progetto di Albanese, però, risulta essere meno focalizzato sul Nuovo mondo e trovare la sua ragion d’essere in una denuncia di più ampio respiro. È il linguaggio dell’uomo e della natura a essere messo sotto stretta analisi, la contestualizzazione all’interno dei discorsi di Bush è solo un pretesto.
D’impatto meno aggressivo, ma di eguale efficacia analitica, risultano i disegni a inchiostro di china. Due figure umane e un animale si fondono insieme, senza a prima vista distinguerne i lineamenti e le sagome. Con queste rappresentazioni, Marisa Albanese mantiene costantemente aperta la questione del non-confine tra preda e predatore, nel loro continuo gioco di ruoli intercambiabili.
A tal proposito vanno citate altre due opere:
Speech Imitation e
Trubist. La prima, un’immagine di grandi dimensioni di uno stormo di uccelli apparentemente normale. Una massa di volatili che, nella loro ordinata danza in aria, accavallano il loro caotico mormorio, somigliante in tutto e per tutto a un’accesa discussione tra uomini. La seconda, un libro che cela al proprio interno un video. Immagini in movimento di un essere animato, uomo o animale, che si fa largo tra il rigoglioso fogliame di una fitta foresta. A chi guarda sta la scelta dell’immedesimazione.