Proprio tutto normale non era la sera dell’inaugurazione della mostra a Villa Medici. Le sorprese e le stranezze non sono mancate, in una girandola di installazioni,
Il meccanismo dello stupore, dello spiazzamento, dello sconfinamento nei territori impervi della surrealtà è ormai diffuso in tutte le ricerche artistiche attuali, dalla pittura alla net art, passando per la fotografia e la performance. L’arte si configura sempre più come uno spazio di libertà, un luogo dove immaginare e costruire uno sguardo alternativo sul mondo, lasciandosi andare al gioco e all’ironia, che spesso si trasformano in leggeri veicoli di un più consistente pensiero critico. Tuttonormale, a cura di Ludovico Pratesi e Jerome Sans, è concepita come una mostra-laboratorio, un esperimento di contaminazione tra l’immaginario della contemporaneità più stringente e uno spazio che da sempre rappresenta la storia e la tradizione culturale europea. Le sale e soprattutto i giardini della villa sono invasi da una miriade di opere, che spingono lo spettatore alla scoperta e all’esplorazione di una messa in scena caotica e vitale, al grido di Mess is More.
Corrado Sassi ha installato nel piazzale quattro grandi bulles de neige a dimensione “umana”, abitate da altrettanti performer che si trasformano in stereotipi viventi, fermati nell’iconicità kitsch di un souvenir: uno sciatore, un giocatore di golf, una segretaria e una ragazza in bikini che prende il sole.
Estremamente coinvolgente l’installazione della britannica Georgina Starr, che ha ricostruito una scena del film Bunny Lake is missing, in cui si narra la triste storia dell’uccisione di una bambina, all’interno di un piccolo parco giochi recintato. Un alto muro impedisce quasi totalmente la visione del giardinetto e della bambina bionda, costringnedo gli spettatori ad arrampicarsi su alcune scalette di legno per sbirciare la malinconica scena segreta.
Tra le “sorprese” riservate ai visitatori c’è senza dubbio Total Casino, di Henrik Plenge Jakobsen, che ha lasciato, quasi con noncuranza, una Maserati rossa fiammante tra i cespugli del boschetto (di chi è? è forse stata rubata?) oppure l’intervento di Wang Du, che ha riempito completamente la serra progettata dal gruppo A12 (abituale scenario del progetto La folie) di giornali accartocciati; e ancora le macchinette gialle che scorazzavano allegre per la mostra (Quisqueya Henriquez) e la grande scritta in neon blu con il suo incitamento a credere: Believe (Geers & K.O. Lab).
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valentina tanni
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