La personale di
Rob Carter (Worcester, 1976; vive a New York) presso la Fondazione Pastificio Cerere rappresenta un appuntamento imperdibile per chiunque desideri tuffarsi con gli occhi in un mondo parallelo e fantastico. Osservando ogni singola opera, appare evidente il fulcro attorno al quale prende vita la ricerca artistica di Carter, ossia l’illusione nel suo rapporto con la realtà. Il paesaggio si divide equamente tra elementi naturali e “strutture iconiche e politiche”, ossia architetture “impossibili”, che contribuiscono a creare il paradosso tipico delle sue opere.
Nella serie
Landscaping, le foglie e le piante appaiono cresciute a dismisura e, pur comunicando un’idea di naturalità, allo stesso tempo nel loro rapporto con la materialità delle architetture indicano che non possiamo ormai più prescindere dall’artificialità. Una volta rappresentati, attraverso la fotografia e il supporto cartaceo, gli oggetti tridimensionali scelti da Carter abbracciano la bidimensionalità e creano effetti illusori e stranianti per l’osservatore.
Ma tutto questo s’intuisce già all’ingresso della Fondazione: sulla parete della prima sala, infatti, è stato allestito un proiettore che mostra in loop il video
Reseed. Quest’opera è la diretta testimonianza dell’inconciliabilità tra la coesistenza di ciò che è “vero” e la sua stessa riproduzione attraverso l’immagine.
L’effetto è quello di un universo ibrido, quasi irriconoscibile: impossibile non desiderare di toccare con mano quelle foglie che serpeggiano indisturbate e lasciarsi trasportare via, lontano, in un mondo inafferrabile dove la fantasia regna sovrana, dove sembra che tutto possa accadere, dove ci si aspetta di vedere un orco o una principessa delle fiabe camminare tra la folta vegetazione e le strade che circondano le mega-costruzioni presenti nel video e nelle immagini di Carter.
Anche in ragione del fatto che, da un punto di vista puramente estetico, i lavori esposti sono capaci di inglobare lo sguardo e l’attenzione del visitatore, attraverso le forme sinuose e i verdi sgargianti, scuri o delicati, della natura che si accompagnano alle linee decise e possenti dei soggetti ritratti dall’obiettivo.
Ma c’è di più, sembra suggerirci Carter: come non considerare i risvolti etici che derivano da un’osservazione attenta e consapevole del mondo che ci circonda? Perché, in fondo, in questa mostra l’intento pedagogico perseguito dall’artista è evidente: l’architettura, il territorio, le aree verdi delle città, in una parola tutto ciò che costituisce l’ambiente in cui nascono e vivono le nostre città è strettamente collegato in una scandalosa (o inevitabile?) rete di potere e denaro ormai indissolubile.