Fiumi di parole si sono spesi per
denunciare il (corrotto, per alcuni) sistema dell’arte, soprattutto italiano.
Così, a chi non ha più parole, non rimane che l’ultimo gesto finale. Che non è
quello del goffo “gruppo di nostalgici” di Lucio Pellegrini in Figli delle Stelle, che erroneamente
sequestra il sottosegretario, anziché il ministro, per risarcire con i soldi
del riscatto una “vedova bianca”. Bensì è quello (affatto nichilistico) di
chiamarsi del tutto fuori dal sistema e agire come outsider.
È questa la caratteristica che
accomuna Giulia Caira, Jessica Iapino e Daniela Papadia, le tre artiste
coinvolte nella mostra Another_Fiction.
Ma un’altra caratteristica le accomuna: il media utilizzato, il video, benché
sia diverso l’approccio al medium da parte di ognuna. Analizzando ancora, se ne
potrebbe trovare un’ulteriore di caratteristica comune, quella stigmatizzata da
Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza
dell’essere. Tuttavia, una frase, sempre di Kundera, dà completamento al
loro gesto: “Per quanto spregevole sia il
mondo, essi ne hanno bisogno per potersi parlare”. E, aggiungeremmo, per
potersi confrontare e trarre spunti di riflessione della propria ricerca e di
rinnovamento della propria tecnica.
Allestiti all’ingresso della
galleria, sui piccoli nove schemi sfilano i diversi personaggi de
Le Parole nascoste. In realtà tutti
impersonati da
Giulia Caira (Cosenza,
1970; vive a Torino), con travestimenti degni di una
Cindy Sherman, siedono intorno a un riconoscibile tavolo da
riunione e, come afflitti da una
mitigata
sindrome
di Tourette, danno libero sfogo a tutti i pensieri più reconditi,
alcuni banali, molti assolutamente fuori luogo, palesando quello scarto
esistente fra l’essere e l’apparire.
Il forte richiamo del video Under
your Breath – proiettato nel “corridoio” – di Daniela Papadia (Palermo, 1963; vive a Roma) a Bill
Viola rischia di far procedere oltre senza prestare particolare attenzione,
annullando
la possibilità di perdersi nel silenzio della solitudine. Quell’assordante
silenzio che rischia di far annegare nell’immobilità e nell’apatia. Per questo
ogni movimento diventa un peso, una fatica sovrumana. E tuttavia, se volto al
positivo, questo status diviene potenzialmente salvifico, stimolo a risalire/riemergere
e rigenerarsi.
Nella proiezione multipla (non
più di sei per volta) dell’ultima sala,
Previous.
To the source,
Jessica Iapino (Roma, 1979) si è soffermata sul disagio quotidiano, generato dalla difficoltà
(e spesso mancanza) di una fluida comunicazione tra le persone. Probabilmente
le sue origini romane l’hanno condotta a scegliere persone che, in modo
diverso, gravitano nel mondo dell’arte, ma ciò non è stato un deterrente nel
metterle di fronte a prove per lo più semplici ma a volte esasperanti.
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mostra visitata il 3 novembre
2010
dall’otto ottobre al 2 dicembre 2010
Another_Fiction
a cura di Antonio Arévalo
VM21artecontemporanea
Via della Vetrina, 21 (zona piazza Navona) – 00186 Roma
Orario: da lunedì a venerdì ore 11-19; sabato ore 16.30-19.30
Ingresso libero
Info: tel./fax +39 0668891365; info@vm21contemporanea.com; www.vm21contemporanea.com
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