La
strada, il cammino, in un’accezione che è metaforica e poetica, è un’immagine
ricorrente nel linguaggio di
Abbas Kiarostami (Teheran, 1940). Entra ed esce dai suoi film, a
cominciare da
Il vento ci porterà via (premio speciale della Giuria a Venezia, nel 1999), ed è anche il
leitmotiv di questo nuovo appuntamento alla Galleria Il Gabbiano, preceduto nel
2001 dalla personale realizzata in occasione dell’uscita di
ABC Africa, un film sulla piaga dell’Aids, girato in Uganda.
Si
tratta di una mostra attraversata dal silenzio. Dodici immagini fotografiche di
grande formato in cui il silenzio stesso è uno spazio fisico quanto la natura,
modulato dai passaggi chiaroscurali del bianconero o, nelle stampe a colori,
filtrato dalle gocce di pioggia sul vetro del parabrezza.
L’uomo,
in questa visione minimale, è una presenza indiretta: implicita in quei fanali
rossi in mezzo alla precipitazione atmosferica (tante virgole liquide sul vetro
dell’automobile) o nella casetta con il tetto spiovente sulla cima di una
collina; solo accennata nel profilo di quel contadino, in lontananza, a dorso
d’asino.
Inquadrature
che evocano momenti e luoghi diversi, perché la macchina fotografica accompagna
da sempre il regista iraniano, soprattutto nei sopralluoghi e durante le
riprese dei suoi film. Lo scarto emotivo c’è, eccome. Un distacco dalla realtà
che lascia libertà allo sguardo e alla mente dello spettatore.
Apparentemente
sono inquadrature di grande serenità, realtà ben lontana – in verità – da
quella che Kiarostami si trova a vivere quotidianamente nel suo paese, dove i
suoi film sono vietati da oltre un decennio (l’ultimo proiettato è stato
Il
Sapore della ciliegia, Palma d’oro
a Cannes nel 1996).
“
Queste mie foto e visioni sono il contrario della
società iraniana e di quello che succede in Iran”, afferma. “
Ho iniziato a fare foto così
venticinque anni fa e, se ancora oggi continuo a scattarle nello stesso modo, è
perché la gente può rovinare la società, ma non le pianure e la natura”.
Tra
un viaggio all’estero e l’altro (il nuovo lungometraggio,
Copia conferme, è stato girato in Toscana) è sempre a Teheran che
Kiarostami torna. “
Sicuramente preferisco la fotografia in bianco e nero
perché, soprattutto quando fotografo la natura, mi permette di farla diventare
la ‘mia’ natura”.
Una
natura, comunque, molto diversa rispetto a quella fotografata da un altro
grande interprete iraniano,
Nasrollah Kasraian, a cui va il merito di esser stato il primo
fotografo a occuparsi di paesaggi nel suo paese. Pur essendo rimasto
profondamente colpito dal lavoro
Damavand (1992), Kiarostami prende le distanze dalla visione lucida di
Kasraian: i suoi sono frammenti interiori.
Qualche
volta, però, c’è di mezzo il caso.
Rain series, ad esempio, è nata nel 2007-08: “
Stavo
guidando, pioveva e il tergicristallo non funzionava. La macchina fotografica
era sul sedile, accanto a me. Mi sono fermato e ho cominciato a scattare foto.
In questi due anni ne ho scattate oltre cinquanta!”.