Anche la plastica ha un’anima, attraversata com’è da quella sua vena estetica seducente e perversa. È la poetica del consumo, della spazzatura, dell’inquinamento, del riciclo, della globalizzazione, approdo degli ultimi sessant’anni di politica internazionale economica e sociale.
Non perde di vista l’ironia
Rósa Gísladóttir (Reykjavik, 1957), presentando a Roma – in occasione della sua prima personale – le tappe più recenti di una ricerca artistica che, dal 2002, è incentrata proprio sulla poetica dell’oggetto quotidiano. Il titolo stesso della mostra,
Looking at the Overlooked, è un omaggio a Norman Bryson, i cui saggi sono stati una sua preziosa fonte ai tempi della tesi per il master in arte ambientale, che Gísladóttir ha conseguito alla Manchester Metropolitan University nel 2003.
In
Osservare ciò che passa inosservato (1990), riflettendo sul concetto di natura morta nel contemporaneo, Bryson introduce il termine
rhopos (oggetti banali, inezie): “
Una visione ropografica dell’arte fa sì che il soggetto non sia elevato alla dimensione eroica, ma conservi il proprio carattere terreno; quella che risalta è l’arte usata per rappresentarlo”.
L’artista islandese concorda con questa visione dello still life, interpretandola con differenti mezzi espressivi.
Inizialmente erano sculture in gesso che riproducevano la forma dei contenitori usa-e-getta dei cibi; col tempo si sono liberate da riferimenti più espliciti, diventando volumi che richiamano alla memoria la lezione di
Giorgio Morandi.
Ulteriore evoluzione è stata quella di lavorare direttamente su un oggetto-rifiuto come la bottiglia di plastica – destinata a essere il fossile della nostra civiltà – come in
16 potential fossils, installazione realizzata proprio con bottiglie di colori, forme e dimensioni diverse, disposte su una mensola (nella visione è implicato il gioco di ombre sulla parete bianca della galleria).
Utilizzando, poi, circa 250 bottiglie riciclate (alcune arrivate dall’Islanda, altre recuperate nella Capitale) e riempite d’inchiostro diluito in acqua, Gísladóttir costruisce
The doubt of future foes exciles my present, una colonna alta tre metri, omaggio alla romanità. Il titolo è un frammento poetico di Elisabetta I d’Inghilterra: “
Il timore di futuri nemici esilia la gioia dal mio presente”, aulico escamotage per affermare le paure e le incertezze per il destino del nostro pianeta.
La scelta cromatica di passare dalle tonalità del giallo al violetto, al rosa, al verde, all’azzurro è l’evocazione di un’idea di paesaggio. Rappresentano la terra, le montagne, il cielo. Sembra che in Islanda i monti, in presenza di una luce particolare, assumano proprio gli stessi riflessi violacei.
“
Non voglio mostrare la spazzatura”, spiega Gísladóttir, “
ma voglio rendere l’osservatore consapevole del problema mostrando qualcosa di piacevole. Sono oggetti molto semplici che hanno una loro valenza estetica che, tuttavia, passa inosservata. Dopo l’uso vengono buttati via”. Nascono così
Flower bed (stampa su plexiglas) e le due installazioni multicolor
Roman roses e
Ice flowers che, se viste dall’alto, diventano aiuole fiorite.
Il fondo delle bottiglie di plastica non ha forse una sezione che richiama la forma stilizzata di un fiore?