Esiste
un evento centrale nell’opera di
Marino Mazzacurati (San Venanzio di Galliera, Bologna, 1907 – Parma,
1969). È la determinazione all’esercizio esclusivo della scultura maturata alla
fine degli anni ‘30, abbandonando definitivamente il dipingere. Una scelta
sofferta e coraggiosa per colui che aveva fino a quel momento concepito opere
d’avanguardia e aveva stretto a Roma un sodalizio con
Scipione,
Mafai e
Raphael in quella che verrà
definita la Scuola di via Cavour.
Nella
capitale Marino era già di casa dal ’26, con l’ammissione all’Accademia libera
del nudo di Via Ripetta e vi fondò nel ’31, con lo stesso Scipione, la rivista
d’arte e letteratura
Fronte.
Sfortunatamente la pubblicazione visse solo per i primi due numeri, in quanto
una serie di vicissitudini in quegli anni tenevano lontano da Roma Mazzacurati,
proprio mentre maggiormente andava maturando la sua esperienza umana e
artistica:
la morte nel ’33 dell’amico Scipione, il viaggio a Parigi e il
contatto con le opere di
Rodin,
Picasso e
Braque.
Da
queste vicende scaturiranno nel ’36 dipinti quali
Nudo Rosso e
Maison Tellier: “
Prove mature realizzate anticipando tendenze
che la pittura italiana affronterà solo dopo la guerra”, come afferma Stefania Bonfili in uno dei saggi
introduttivi del catalogo.
Il
suo definitivo rientro nella capitale nel ‘38 è segnato anche dall’affidamento
della cattedra di plastica al liceo artistico di Via Ripetta e dall’acquisizione
di uno studio in Via Margutta, dove realizza la grande scultura
Giocatore di
tamburello per il Circolo del
Tennis.
Complesse
motivazioni, anche di natura economica, lo spingono proprio in questo periodo
così profondamente innovativo al definitivo abbandono della pittura e sono
affrontate dallo stesso artista in un’intervista del ‘66 mostrata in un video
nell’ambito del percorso espositivo.
Certamente
la strada della scultura, con la quale si misurerà dal ’38 in poi, è quella in
lui più connaturata, non foss’altro per le esperienze da scalpellino
collezionate da ragazzo e il suo apprendistato nello studio dello scultore
Scanpia. E a questa espressione affianca quella delle arti
applicate nella fantastica e utopica “bottega rinascimentale” creata nel ‘44 da
Enrico Galassi a Villa Giulia.
Mazzacurati realizza ceramiche e cartoni per mosaici, lavorando al fianco di
Afro,
Capogrossi,
Carrà,
Consagra,
de Chirico,
Leoncillo,
Maccari,
Savinio, con la smisurata curiosità della sua indole e, nello stesso tempo,
la consapevolezza dei propri solidi mezzi tecnici.
Il
precoce fallimento economico dell’esperienza di Villa Giulia non ne riduce la
portata culturale, tanto che una parte del gruppo di artisti, tra cui lo stesso
Mazzacurati, si ricostituisce negli studi messi a disposizione dallo Stato a
Villa Massimo, che diviene presto un fertile terreno di scambio di esperienze e
progetti. In questo periodo, e fino alla sua scomparsa nel ’69, l’artista
realizza molte sculture e si dedica anche a opere pubbliche quali i monumenti
al Partigiano a Parma e alle Quattro giornate a Napoli.
Lavori
nei quali si riconosce interamente quella “compiutezza espressiva” che è per
Mazzacurati il fine ultimo dell’arte e forse della sua stessa esistenza.