Forse non a tutti, sentendo il nome di
Michelangelo
Buonarroti (Caprese, Arezzo, 1475 – Roma, 1564), viene in mente un’opera architettonica. Molto più
immediato è associarlo a una scultura. E forse nemmeno lui immaginava di poter essere
ricordato per le sue architetture. “
Non sono architector”, scriveva in uno dei carteggi
degli anni ‘40. Eppure dovette ricredersi. Dopo il primo passaggio per Roma, alla
ricerca delle “
meraviglie ch’udiva degli antichi”, come racconta
Vasari.
Intorno a questo scenario si sviluppa la mostra ospitata
dai Musei Capitolini, che attraverso 17 sezioni e 105 opere traccia un profilo ancora
non del tutto esplorato dell’artista nelle vesti di straordinario architetto,
attraverso i due principali momenti in cui visse nella Capitale: dal 1505 al 1516
e dal 1534 fino alla morte.
Così la mostra romana, ma dal cuore toscano (è ideata
dalla Fondazione Casa Buonarroti di Firenze), più che un’esposizione sembra una
lezione di storia. Storia dell’arte, e di livello eccelso. Complice la location,
tutt’altro che casuale.
Proprio lì, in piazza del Campidoglio – di cui
Michelangelo disegnò tutti i particolari, pavimentazione compresa – dove si
affaccia Palazzo Farnese, anche questo sottoposto alle “cure” del maestro, che
ne ereditò i lavori dopo la morte del
Sangallo.
In mostra tutti gli altri capolavori architettonici realizzati
dal Buonarroti. Dalla Basilica di San Pietro – suo è il disegno della cupola e
la creazione del tamburo che la sorregge – al complesso di Santa Maria degli
Angeli, dalla Cappella Sforza fino a Porta Pia. Luoghi dove il “segno”
dell’artista nella Capitale si è impresso, divenendo immortale. E quando non è
rimasto scolpito nel marmo e nella pietra, si è tramandato nei disegni e nei
progetti di quegli edifici che non videro mai la luce.
Michelangelo, scrive Christof Thoenes, vuole “
contatto”. Così il disegno diventa un
equivalente del rapporto con la materia, quasi a compensare la rinuncia al
lavoro materiale richiesta all’architetto. E il cuore della mostra è racchiuso
in uno straordinario nucleo di oltre 30 disegni autografi relativi a opere
romane, ai quali si affiancano pregevoli stampe e due ritratti di Michelangelo
(uno attribuito a
Marcello Venusti).
Ai disegni autografi si alternano, in un compendio di
preziose appendici, antiche stampe, disegni, modelli, volumi e documenti
originali dell’epoca, concessi in prestito da importanti collezioni italiane,
dove trova spazio anche un inedito. È il disegno (autografo) di Michelangelo:
un foglio riciclato dallo stesso Buonarroti, datato 1563, un anno prima della
morte, scoperto, pare per caso, quasi un anno fa, fra le carte dell’Archivio
storico della Fabbrica di San Pietro e uscito per la prima volta in assoluto
dal Vaticano.
Nella sua vita romana l’artista non si dedica soltanto
alla creazione di grandi opere o luoghi sacri, trovando il tempo per dilettarsi
nelle costruzioni residenziali, alle quali si dedica con la stessa maestria e
il solito genio. Animato da un rapporto dialettico fra scultura e architettura,
con un evidente interesse per il classico.
Un lavoro profondo, reso ancor più suggestivo dalle parole
dell’artista scritte sulle tavole; appunti vari, in corsivo, ricchi di
cancellazioni e note a margine. Un punto di contatto diretto con l’artista,
cinquecento anni dopo. E un motivo d’incanto in più, di fronte alle meraviglie
capitoline.
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Queste scelte si inseriscono nello steccato rassicurante e spuntato dell'arte contemporanea. Una paese per vecchi sta formando giovani vecchi. Giovani che diventano statue di sale sulla soglia dell'accademia e conoscono subito una storicizzazione pericolosa.
Palazzo Farnese si affaccia sul Campidoglio???
Ma a Roma???