Spesso sopraffatti dal frastuono di barocche installazioni, entrare a Oredaria è come entrare in una basilica medievale nella canicola estiva. Una quiete e un silenzio subitamente avvolgono l’accaldato visitatore che, inconsciamente e istintivamente, s’impone un immediato rallentamento dei movimenti, un lento incedere. Passi leggeri che sono condotti non da una guida rossa, ma da un’essenziale linea. Una semplicissima asse, che attraversa l’intero spazio della galleria.
Linea di mercurio è una delle sintesi delle ricerche di
Maurizio Mochetti (Roma, 1940). Sì, perché tutte le sue opere in qualche maniera riassumono in sé quelli che sono i campi di ricerca dell’artista: meccanica quantistica e fisica atomica. Un interesse che, come sottolinea Germano Celant nel catalogo edito nel 2003, lo porta a discostarsi dagli artisti della sua generazione, quali
Kounellis,
Paolini,
Fabro e
Boetti, e gli consente di dare un proseguo alle ricerche “spaziali” di
Fontana: la tela tagliata è il punto d’incontro di due dimensioni. È questo il concetto che affascina Mochetti: l’interazione dell’opera con lo spazio, affinché quest’ultimo non sia un semplice contenitore, ma perda la sua fisicità, diventando aperto, in cui il fuori e il dentro s’incontrano, il non-luogo interagisca col luogo. Così, la
Linea di mercurio fuoriesce dall’ultimo gradino della piccola scalinata d’ingresso, prosegue attraverso tutto l’ambiente della galleria, formando una dolce curva, per uscire dalla parete di fondo, oltrepassando il muro.
Una sottilissima asse con una microfusione sulla quale si posa un minuscolo punto di luce che si sposta con l’incedere del visitatore. In molti lavori di Mochetti, infatti, la luce (anche quella laser) acquista un ruolo fondamentale nell’opera, ne diventa parte inscindibile e indispensabile. Trattata alla stressa stregua della materia, la luce riesce a infondere nei materiali un afflato vitale, che li rende vivi e dinamici, facendogli definitivamente perdere quella caratteristica di immobilità e scontata identità.
Il punto di luce, attraversato il muro, sembra prepotentemente rientrare dal soffitto, con la stessa violenza di una cascata, che travolge e completamente avvolge un esile piedistallo, posto quasi al centro dell’ideale cerchio formato dalla dolce curva dell’asse.
Solo avvicinandosi a esso, e superando lo strato di luce, si riesce a intravedere una sculturina. Un gracile e piccolo omino stante che, anziché soccombere sotto la violenta luce, orgogliosamente ne sostiene tutto l’immateriale peso.