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25
febbraio 2009
fino al 21.III.2009 Adam Broomberg & Oliver Chanarin Roma, BrancoliniGrimaldi
roma
Un documentario storico che ha la nitidezza d’un ritratto apparentemente infantile. La testimonianza fotografica di un unico atto. Un disegno libero dall’esplosione esterna e prigioniero di mura belliche, ora esonerate dalla propria mastodontica corporeità...
Silenziose, quasi surreali, mostrano grigiori di esili tratti che sembrano disegnati. Incorniciate da una sottile asta di metallo, sono invece realizzate in c-type print, lontano da ogni supremazia facilitata del digitale: si tratta delle 23 fotografie di Adam Broomberg (Johannesburg, 1970; vive a Londra) e Oliver Chanarin (Londra, 1971). L’eleganza e la solennità della galleria romana possono però risultare troppo loquaci per questi scatti diretti, di un’argomentazione storica viva, ruvida di una pesante consapevolezza: The Red House incornicia le speranze talvolta figurative e talora astratte di centinaia di prigionieri curdi, graffiate sui muri delle carceri irachene sotto il regime di Saddam.
Il team di formazione inglese è alle prese ormai da dieci anni con una fotografia documentaristica attiva in un linguaggio socialmente coinvolto, proiettato a rivelare la verità delle minoranze. Passando dalla discriminazione razziale sudafricana alla contemporaneità israeliana, il lavoro di Broomberg e Chanarin evidenzia da sempre una fotografia luminosa, chiara, pulita. Lo stesso vale per le immagini di Red House, fotografie testimoni di un contesto post-bellico nascosto, in grado di rivelare – attraverso un’inquadratura totale e netta – le pulsioni mentali di centinaia di reclusi, capaci di incidere volti di donna o cubi vuoti su un muro povero di speranze.
I due fotografi non fanno altro che suggellare l’atto “artistico”, liberatorio, di prigione in prigione, portando alla luce narrazioni a sé stanti di disegni murali unici, singoli. Lo scatto assolve così la funzione di isolare l’immagine ed estrapolarla dal suo contesto drammatico, per riprodurne la totale verità: un disegno senza tempo. La parete dell’atto pittorico nasconde la sua superficie bidimensionale per aumentare di volume agli occhi dell’obiettivo. Ecco che i solchi reali scavati sul muro divengono grumi di macchie pastose e grigie, e il muro stesso cessa di essere tale. Non vi è alcun margine tra l’inizio e la fine del disegno che si è deciso d’inquadrare; vi è una decentrata continuità, quella del tratto testimoniato dalla foto.
Ma più si osservano queste immagini, più si tenta senza cattiveria di psicoanalizzarne il significato: volti di donne dai capelli colorati, papere tondeggianti dal becco appuntito e, ancora, scatole geometriche vuote e scheletrite o un impensabile Mickey Mouse dai molteplici colori.
Intorno a queste immagini tutto è silenzioso, e l’eleganza di quel portamento fotografico le allontana dal dolore che racchiudono, confinandole in un altro luogo; un luogo di memoria “d’élite”, che passa in rassegna un piccolo frammento di storia. Non certo di storia dell’arte, ma che fa gioco del loro gioco: un disegno, una presenza, un non ben identificato “‘io c’ero”.
Il team di formazione inglese è alle prese ormai da dieci anni con una fotografia documentaristica attiva in un linguaggio socialmente coinvolto, proiettato a rivelare la verità delle minoranze. Passando dalla discriminazione razziale sudafricana alla contemporaneità israeliana, il lavoro di Broomberg e Chanarin evidenzia da sempre una fotografia luminosa, chiara, pulita. Lo stesso vale per le immagini di Red House, fotografie testimoni di un contesto post-bellico nascosto, in grado di rivelare – attraverso un’inquadratura totale e netta – le pulsioni mentali di centinaia di reclusi, capaci di incidere volti di donna o cubi vuoti su un muro povero di speranze.
I due fotografi non fanno altro che suggellare l’atto “artistico”, liberatorio, di prigione in prigione, portando alla luce narrazioni a sé stanti di disegni murali unici, singoli. Lo scatto assolve così la funzione di isolare l’immagine ed estrapolarla dal suo contesto drammatico, per riprodurne la totale verità: un disegno senza tempo. La parete dell’atto pittorico nasconde la sua superficie bidimensionale per aumentare di volume agli occhi dell’obiettivo. Ecco che i solchi reali scavati sul muro divengono grumi di macchie pastose e grigie, e il muro stesso cessa di essere tale. Non vi è alcun margine tra l’inizio e la fine del disegno che si è deciso d’inquadrare; vi è una decentrata continuità, quella del tratto testimoniato dalla foto.
Ma più si osservano queste immagini, più si tenta senza cattiveria di psicoanalizzarne il significato: volti di donne dai capelli colorati, papere tondeggianti dal becco appuntito e, ancora, scatole geometriche vuote e scheletrite o un impensabile Mickey Mouse dai molteplici colori.
Intorno a queste immagini tutto è silenzioso, e l’eleganza di quel portamento fotografico le allontana dal dolore che racchiudono, confinandole in un altro luogo; un luogo di memoria “d’élite”, che passa in rassegna un piccolo frammento di storia. Non certo di storia dell’arte, ma che fa gioco del loro gioco: un disegno, una presenza, un non ben identificato “‘io c’ero”.
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mostra visitata il 13 febbraio 2009
dal 30 gennaio al 21 marzo 2009
Adam Broomberg & Olivier Chanarin – The Red House
BrancoliniGrimaldi Arte Contemporanea
Via dei Tre Orologi 6/a (zona Parioli) – 00197 Roma
Orario: da martedì a sabato ore 10-13.30 e 15-19
Ingresso libero
Info: tel./fax +39 0680693100; info@brancolinigrimaldi.com; www.brancolinigrimaldi.com
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