Il trasgressivo artista della Young British Art,
Mat Collishaw (Nottingham, 1966; vive a Londra), con
Nebulaphobia si discosta dalle sue consuete immagini perverse e agghiaccianti (tutti ricordano ancora il suo
Bullet Hole, la fotografia di un foro di proiettile su una testa, che ha ispirato nel 1988
Damien Hirst per il titolo della mostra
Freeze).
Nella sua costante evoluzione creativa, l’artista inglese è giunto sino a oggi diventando promotore di un’arte che fa confondere la linea di demarcazione tra il reale e l’irreale, tra il sacro e il profano, proiettando lo sguardo altrui in una palpabile dimensione di straniamento. Il suo lavoro si è trasformato in un ammiccante gioco con la percezione dello spettatore, rendendo la manipolazione digitale una ricorrente tecnica che plasma i suoi sacrileghi soggetti.
La forza portante del suo lavoro è la perfetta fusione del visibile con l’invisibile, dei concreti accorgimenti tecnici con pure sensazioni inafferrabili ed evocative.
In
Nebulaphobia le icone religiose riproposte dall’artista perdono la loro usuale valenza evangelica e, spogliandosene, si reinventano secondo la lettura più contemporanea d’immagini in movimento. È la tecnica usata dall’artista inglese che attualizza i simboli d’altri tempi.
Le immagini, infatti, sono impresse su pannelli che danno all’occhio dello spettatore la fisica percezione del movimento delle figure, secondo le diverse sfumature che le rendono a volte più nitide, a volte più sfocate. Tale processo percettivo sottende alla globale visione dell’opera, conferendo in tal modo più risalto a determinati particolari rispetto ad altri. Ma l’arte di Collishaw non è fatta unicamente di tecnicismi percettivi: il suo estro creativo, infatti, si ciba anche di grosse dosi d’impalpabili suggestioni, impercettibili stimoli per un più dilagante disorientamento dello sguardo.
Collishaw usa la decontestualizzazione iconografica come un’arma tagliente ed efficace. Gli angeli, le madonne e, infine, la morte perdono la loro valenza assoluta e interagiscono con lo spettatore, che spostando il proprio sguardo modifica le loro sembianze. A tal proposito,
Angel è emblematico. Delle tre figure rappresentate, solo quella identificata dalle ali piumate risulta soggetta al progressivo mutamento visivo.
La mostra è in parte proprio una ricerca iconografica d’argomento angeologico. Negli ultimi light box, l’essere celestiale ritorna, perdendo però la sua aura sacra, nelle vesti di un essere umanizzato e reso attuale dalla posa sinuosa.
In
Shrinking Violet I è invece la morte a tornare manifesta. Seguendo ancora il processo di attualizzazione tramite mezzi tecnologici come i light box, Callishaw sembra riprendere una vecchia usanza del XIX secolo, ossia il ritratto fotografico dei deceduti sul letto di morte.
L’intento generale dell’artista inglese pare quello di esorcizzare la sacralità di certe figure cardine dell’immaginario comune, per riprodurle con un volto più familiare. L’imponente
Chiasmus si rende, in tal senso, opera-perno di tutto il suo attuale pensiero creativo.
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mostra anni '90
siamo quasi negli anni '10