Ammesso che il femminismo abbia commesso svariati errori,
Sandra Bermudez (Colombia; vive a Miami e New York) sembra non volerli ripetere. Non c’è niente nelle sue opere che rimandi a teorie squisitamente sessiste, indebitamente provocatorie che, strizzando l’occhio a un atteggiamento spesso incline al vittimismo, hanno rischiato di far cadere le donne del movimento femminista in una sorta di auto-ghettizzazione.
Sandra Bermudez non ci sta, vuole molto di più. Forse perché continua a girare il mondo con le sue opere, esponendo sia in America che in Europa, e ha avuto modo di sperimentare sulla propria pelle e con i propri occhi ciò che significa essere donna oggi. Forse perché, proprio in quanto esponente del “sesso debole”, crede sia giusto esporre se stessa in prima persona, nel tentativo di rimediare agli eventuali errori fatti nel corso degli anni, proponendo un diverso approccio (finalmente ironico e leggero) agli argomenti presi in esame e un’analisi sociale e artistica più costruttiva.
La critica nei confronti della società moderna la conduce a elaborare le sue immagini digitali, i ritagli, le sculture e i video in modo sottilmente indagatorio, quasi a voler entrare in sfida col mondo, come in una colorata partita a scacchi.
Il titolo della mostra romana è
Illusion, e non è un caso: siamo tutti vittime di illusioni, inutili e dannose, che ci fanno perdere il contatto con la realtà più vera. Anche l’artista non si tira indietro, sa perfettamente che l’unico modo per essere credibile è offrire il suo stesso corpo, frammentato e nudo ma quasi privo di ogni intento di immediata seduzione fisica, ponendolo al centro della sua battaglia.
Si veda ad esempio
Pink Orchid Landscape, in cui Bermudez contrasta con la forza della sua femminilità la visione iconografica della donna come oggetto sessuale. E ancora, in
Dior Boot Garden o nelle sagome dei lampadari specchianti, l’artista decide di scagliarsi contro chiunque proponga (stilisti compresi) quell’idea di lusso sfrenato, soltanto apparente e ormai privato di qualsiasi fascino, che serpeggia incontrastata nelle nostre vite, spingendoci a mercificare ogni cosa, anche noi stessi. E le sue parole al vento (come nel blu delle fotografie
Always e
Forever, in cui i palloncini a forma di lettere dell’alfabeto volano leggeri, affollandosi nel cielo) rimandano alla vacuità che il linguaggio stesso contiene in sé, quando non accompagnato da consapevolezza e aderenza ai fatti.
Il gioco, la sensualità, l’umorismo, i colori sgargianti, la cultura popolare si ritrovano in tutte le sue opere, rendendo la visione della mostra un’esperienza piacevole e una gioia per gli occhi. Ma solo un’analisi superficiale e frettolosa potrebbe non accorgersi di quanto, dietro un apparente atteggiamento divertito, la riflessione di Bermudez sia in realtà profonda e intimamente sentita.