A due anni dalla morte dell’artista, reso omaggio alla sua memoria in occasione dell’ultima Biennale di Venezia e a pochi mesi dalla retrospettiva dedicatagli dalla Galleria Nazionale di Arte Moderna, Campaiola propone una sintesi visiva delle opere di
Emilio Vedova (Venezia, 1919-2006) -artista visionario e innovatore, filosofo e poeta- nell’arco temporale di un ventennio, dagli anni ‘60 agli ‘80.
Un’introduzione antropologica all’uomo Vedova è quella che inaugura il catalogo della mostra: attraverso i contributi di Costanzo Costantini e Duccio Trombadori, si acconsente a una lettura delle opere dell’artista veneziano “
erede di Jacopo Tintoretto” (Costantini) che trapassa la superficie pittorica e apre a una dimensione emotiva della pura visione.
Vedova era ribelle alle tassonomie. Difficilmente le sue affiliazioni a gruppi, partiti o movimenti artistici resistevano a lungo; parimenti, a chi soleva azzardare efficaci paragoni con affermati artisti internazionali si affrettava a rispondere modulando le proprie tecniche, variando i supporti -dal compensato alla tela, al cartone, alla faesite, a materiali in acciaio e bronzo- decostruendo la superficie bidimensionale e travalicando nella terza dimensione pittorica: le sue installazioni erano estensioni nel tempo prima ancora che nello spazio.
Era prevalentemente al
Tintoretto che Vedova volgeva il proprio interesse: nella ricerca dei valori plastici e nella successiva dinamicità spaziale, il pittore del Cinquecento seppe per certi versi anticipare ciò che l’avanguardia riconobbe più tardi.
È alla pittura che Vedova dedica tutto se stesso e, in maniera
auratica, citando Benjamin, l’allestimento non può che renderne evidenza.
Accordando alla mostra frammenti di frasi, “stralci” dei quaderni e fogli di lavoro dell’artista, emerge la passione dilaniata dalle coppie di opposti che Vedova getta sulla tela: bianco e nero, limite e non limite, vuoti e pieni, campitura piatta e materia pittorica. Tra piccoli e grandi formati, le opere selezionate, pur rispettose del criterio anagrafico preordinato, sembrano attenersi a un’ulteriore analogia nelle forme della “presentazione” (per Vedova gli artisti creano cose più che segni, espressione prima ancora della rappresentazione).
I quadri appesi alle pareti della galleria, spesso incorniciati, assumono l’
aura -ancora Benjamin- come carattere in sé e per sé di dipinti, nel senso più classico e composto che evoca il termine. Speculare su rapporti di posizione permette un orientamento parziale tra le opere che pure si richiamano a vicenda, frontalmente, da parete a parete; ma nei fatti l’espressionismo e l’astrattismo di Vedova, assumendone i confini fluidi come questi vorrebbe, rimane coerente nel tempo, lasciando solo emergere negli anni un maggiore spazio alla pura superficie del supporto e un tratto che si fa progressivamente più grafico, incline allo specifico alfabetico della sua
Scrittura in Negativo che, nel frattempo, lasciava la tela e si espandeva su pitture-installazioni (sono gli anni dei
Dischi).
Lo Studio Campaiola congela i tempi, e congela uno specifico aspetto dell’arte eteroclita di Vedova: la pittura su tela (cartonato o faesite), bidimensionalità, incorniciata ad altezza del campo visivo di chi attraversa lo spazio. Non ci sono sorprese. L’allestimento chiede fruitori competenti, consumatori interessati e non passanti distratti.