Non bisogna essere dei geni in matematica per accorgersi che un “buco” esiste anche nella programmazione. Infatti, se il postulato iniziale fissava quattro artisti per cinque appuntamenti, anziché sedici il totale doveva essere venti. E questo “sbaglio” matematico esiste perché un pizzico della leggendaria ironia di Achille Bonito Oliva, curatore della mostra con David Peat (per la parte scientifica), non poteva mancare. Anche se gli appuntamenti sono stati effettivamente cinque e durante il quarto è stato proiettato il film del regista francese Jacques Beker, Le trou, il buco per l’appunto, con Catherine Spaak e Philippe Leroy.
I sedici artisti si sono confrontati su un tema che di per sé non ha un significato univoco e che solitamente indica delle identità inafferrabili. I “buchi di memoria”, “dello spazio”, “nell’agenda”, “della storia”, “delle tasche”, “nelle vene”, la “banda del buco”, il “buco di S. Anselmo”, i “buchi della serratura”: fori usati per spiare o scrutare qualcosa che è oltre. Così, anche in quest’ultimo appuntamento, è stata data un’accezione particolare del concetto portante della rassegna. Con una foto di grande formato fortemente evocativa -è impossibile non pensare all’altro famoso fondoschiena, quello di Roberta, che negli anni Novanta ha tempestato i cartelloni pubblicitari della penisola-, Paola Pivi (Milano, 1971) fornisce forse la versione più sensuale del concetto, senza però tralasciare la sua forte capacità di spiazzamento, ribaltando i legami tra il soggetto ed il contesto. Un didietro troppo grande che vuole trovare posto su una sedia troppo piccola, quelle sedute in miniatura di cui il Vitra sfoggia un’invidiabile collezione.
Elisabetta Benassi (Roma, 1966), che dal 1999 utilizza il video come medium principale per una profonda riflessione sulla memoria, conduce una poetica percorsa da un tocco di profonda poesia. La sua scatola è quella dei ricordi, i quali, per la natura stessa della selettività della mente umana, immancabilmente presentano dei “buchi”: una scatola quindi con un coperchio con un perfetto buco posto leggermente fuori centro, attraverso cui le tracce della memoria sfuggono via.
Quei “buchi” –the holes– che Steven Parrino (New York, 1958-2005) è invece solito eseguire sulle sue tele per concentrare tutta l’attenzione su ciò che resta in superficie. Nel piccolo quadro esposto è pittoricamente rappresentato questo buco, senza sfumature e con contorni nitidi: un perfetto cerchio grigio, leggermente decentrato, su uno sfondo tenue celeste, cui la Benassi sembra fare il verso attraverso la corporeità della sua scatola. Roberto Cuoghi (Modena, 1973, vive a Milano), reduce Biennali qua e la (Praga e Berlino), passa con naturalezza dal disegno, alla pittura e dalla fotografia alla performance. Nella foto, di piccolo formato, troviamo ancora una volta una riflessione sull’identità e sulla metamorfosi. Una persona “pia”, colta nel momento dell’apparizione delle stigmate sul proprio corpo, le stesse di S. Francesco d’Assisi e di Padre Pio, di cui è nota la personale devozione dell’omonimo gallerista.
daniela trincia
mostra visitata il 26 giugno 2006
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