Un semplice turbante e il grido “mamma li turchi” e subito una generale paura assaliva tutti. Scomparsi oggi quei copricapi, l’”altro”, “l’uomo nero”, è difficile da individuare. E così, qualsiasi segno mediorientale è subito messo in relazione con “l’uomo nero”. Senza attenzione alle sfumature. Perciò l’artista turca Mürüvvet Türkyilmaz (1968, vive a Istanbul) usa proprio quella scrittura-turbante per delineare e descrivere le forme del timore. Una guerra è una guerra, la violenza è violenza, e fanno paura anche in Turchia, sembra volerci dire la giovane artista.
Diversi elementi -written drawings, video, disegni su cartoncino-, eppure concepiti come un’unica installazione, abitano lo spazio. Tutti esprimono la personale geografia di Türkyilmaz, e per questo senza precisi titoli, ma compresi nel comune titolo The geography of Fear.
Come molti artisti, anche Türkyilmaz utilizza per la propria ricerca artistica, differenti media (video, installazioni, fotografia), ma su ognuno predomina però quel leggero segno grafico.
Ancora più fluida di quella di Ketty La Rocca (esempio la serie Riduzioni, 1972-73), la scrittura qui non si sostituisce al disegno, bensì lo crea. Una scrittura automatica, sì, ma non del non-senso. Soprattutto non parole in libertà. Nei disegni su cartoncino ed in quello su parete, il segno grafico è incentrato su un tema ben preciso: crea le forme del timore. E le associazioni d’idee guidano la mano dell’artista. Andando dall’individuale spazio infantile a quello sociale e politico, ripetendo il processo del ricordo e dell’oblio e la stessa fragilità della memoria.
Con uno stop-and-go del rosso e del verde, Türkyilmaz traccia il suo written drawing come il filo del racconto del suo privato libro dei ricordi, che si distende nel cosiddetto Alice Kitap. Costellato d’oggetti effimeri o oggetti astratti –obelischi, biciclette, archi, occhiali, mappamondi, televisori …-, è un racconto tessuto con la stessa cura e lentezza di una perfetta tela di ragno, che acquista consistenza con l’inserimento di una delle sigle dell’artista: il termometro. Oggetto caro a Türkyilmaz, esso indica la
Geografia espressa anche dal bianco e lucido tavolo, che immediatamente ricorda quello delle alte conferenze, dove intorno sono seduti i rappresentanti di inesistenti paesi, come indicato dalle dodici anonime bandierine di stato. Intorno i disegni della paura: un teschio, un missile, un fucile, delle manette, un serpente, un robot. Ad indicare che tutto quello che ci circonda può farci del male, che anche la stessa tecnologia può avere risvolti negativi. Ed il suo è un disperato grido o semplicemente un monito.
daniela trincia
mostra visitata il 28 gennaio 2005
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