I nativi digitali si fanno strada
nell’arte contemporanea. La web generation coniuga reale e virtuale, immagine
visiva e digitale, rompendo lo schema di due mondi separati o, addirittura, di
uno fittizio che soggioga quello reale.
Rob Sherwood (Bristol, 1984; vive a Londra)
illustra il suo personalissimo percorso creativo in uno spazio dal layout
labirintico, particolarmente adatto a definire il senso della ricerca, quello
della Federica Schiavo Gallery. Uno spazio appena nascosto, quanto basta, dal
chiasso che si insinua luminoso nel ventre dell’Urbe. Le visioni a cui attinge
Sherwood sono quelle digitalizzate che rimbalzano dagli screen, il movimento è
uno streaming, l’interruzione prodotta da un tasto di pause o dal malfunzionamento di un
segnale da satellite.
Il risultato è un’immagine
pixelata, decomponibile e frammentata, spesso una compressione di informazioni
ridondanti. E così l’artista di Bristol mette al centro del suo lavoro la
griglia, un mezzo già ampiamente utilizzato in era predigitale dalle
avanguardie storiche. Facciamo allora anche noi un paio di citazioni: Paul
Klee o magari Piet
Mondrian.
Lo studio della luce è il
denominatore comune del lavoro, la chiave interpretativa per transitare dal
reale al virtuale. Il trittico Where I End and You Begin è il punto d’arrivo dello studio;
sulla parete opposta, i digital print sono invece la prima traccia del percorso
creativo tutto condotto sulla luce. Ancor più evidente ciò è nelle opere,
sempre estratte dalla Internet failed series, presentate al limite della
sezione di passaggio alle sale più lontane.
Per esaltare la luminosità dei
contrasti, per rendere pienamente l’elettricità dell’immagine digitale o il
carattere basico dei colori primari, Rob Sherwood dà fondo alla ricerca delle
tecniche più sofisticate ed espressive: sulla tela una colla di pelle di
coniglio, uso prevalente di olio di lino, e sopra la pittura resina Damar e
trementina. Un post-pittorico che viene continuamente richiamato per esaltare
ai sensi la consapevole immersione in un ambiente di schermi piatti ed emozioni
digitali.
L’effetto è una forte interazione
della realtà tecnologica con quella sensoriale, e le cellule di pixel sembrano
galleggiare immobili in un liquido vitale, amniotico, nelle tele della serie Most
Furniture Has Four Legs. Una monocromatica Detroit pullula vitale e decadente dietro il grigio-verde
postindustriale, dove alberi e rovi riprendono possesso di aree dismesse sotto
i colpi della crisi.
Ed è sempre il colore a
trasgredire oltre le righe e oltre la compostezza formale di The Tourist, un omaggio all’Impressionismo
americano. Si torna così, inevitabilmente al termine della visita, di fronte al
trittico con una più veloce capacità di connessione all’ispirazione: il
planisfero che sembrava emergere da una difficoltosa trasmissione satellitare
si decodifica e si traduce in una inquietante compressione di informazioni
digitali, immersa suo malgrado nell’essenza dei colori naturali, nel loro
procedere lento dai toni caldi ai freddi, a segnare il contrastato rapporto con
la vita e la natura.
E a sollecitare ancora i nostri
sensi, l’odore quasi percepibile della pittura: tutte le opere di Sherwood
esposte qui sono infatti del 2010.
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mostra visitata il 20 marzo 2010
dal 18 marzo al 22 aprile 2010
Rob Sherwood – Synthetic Symphonies: Where I End And
You Begin
Federica Schiavo Gallery
Piazza Montevecchio, 16 (zona Parione) – 00186 Roma
Orario: da martedì a sabato ore 12-19
Ingresso libero
Testo critico di Guy Robertson
Info: tel. +39 0645432028; fax +39
0645433739; info@federicaschiavo.com;
www.federicaschiavo.com
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