Alcuni artisti sanno muoversi agevolmente, seguendo un percorso di mutazione stilistica che però conserva delle caratteristiche stabili che lo rendono riconoscibile. Altri, invece, sanno coniugare arte e vita in un’ottica totalizzante anche quando il discorso artistico tende alla semplificazione essenziale. Ma non per questo trascurano eventi, luoghi e ricordi cari all’autore. I nostri pensieri, infatti, ci permettono spesso anche di guardare
oltre, al di là della semplice apparenza.
Hannu Palosuo (Helsinki, 1966; vive a Roma e Helsinki) è un artista completo sotto questo punto di vista. La sua produzione pittorica, nel corso dell’ultimo decennio, ha dato vita a una sequenza narrativa articolata in frammenti ricomponibili. Quasi un puzzle che, una volta costruito, può di nuovo essere ricomposto in forme sempre nuove, mantenendo vivo un legame temporale senza fine, pur se dilatato all’infinito.
Dalle prime elaborazioni di sedie – che assurgono quasi a figure dialoganti – e di ombre che dalle stesse si proiettano sullo spazio, talvolta accompagnate da forme umane, si passa alla rappresentazione dei ricordi più cari: la casa dei nonni o le finestre e porte che lasciano intravedere dietro di sé orizzonti indefiniti. Il senso del vuoto, della riflessione umana, la tela grezza. Un rapporto di pieni e vuoti molto caro anche alla cultura orientale. Così, nell’ultima produzione si alternano i blu e i bianchi alla materia prima, la tela grezza, resa nella sua più naturale semplicità. E qui si stagliano orizzonti, boschi e foreste. Silhouette di oggetti riconoscibili: un vaso, una serie di tronchi, un virgulto.
L’artista confessa che il titolo
My life was a burning illusion, tratto dalla letteratura, vuole istituire un primo importante momento di sintesi. All’evocazione di un’illusione bruciante che porta con sé tutti i toni più caldi della tavolozza si contrappone la narrazione per immagini, fatta di toni freddi, gelidi; angoscianti e polari tonalità del bianco. Luci bluastre, senza calore. Non c’è il sole a scaldare i ricordi, ma il gelo a conservarli in eterno. Così, le lunghissime serie di dipinti, nate dai primi trittici, rievocano anche il titolo delle opere: unico per l’intera produzione. Lo stesso titolo per tutti, quasi a voler dire che ogni opera fa parte di un complesso più grande e in esso si muove liberamente, potendosi abbinare a una qualsiasi altra opera e producendo sempre un significato nuovo e veritiero.
Un’unica figura umana esposta, un bambino che dondola nel vuoto cosmico, di spalle. È questa l’apoteosi dell’identificazione che ci fa immaginare al suo posto, illudendoci di poter vedere anche noi, sotto i nostri piedi – una volta sospesi nel vuoto – l’universo pittorico di Palosuo nelle sue infinite varianti compositive.